Ender Magnolia rimette il “-vania” nel metroidvania

Il seguito di Ender Lilies è una pietra miliare di questo genere.

Quando, a distanza di tempo, potremo riconsiderare questi anni con più distacco e lucidità, penso proprio che verranno visti come l’epoca d’oro dei metroidvania. Da più di dieci anni escono a cadenza regolare titoli da annoverare tra i classici di questo genere. I motivi di tanta fortuna sono vari: sicuramente la struttura dei metroidvania, con la sua fitta rete di livelli interconnessi, è la più efficace nel restituire, nell’ambito delle due dimensioni, quel senso di esplorazione e di scoperta che è tipico dei più popolari open world; è inoltre una formula in profonda connessione con quel senso di progressione che motiva e ricompensa, in un ciclo continuo, il giocatore. In una parola: funziona. Il metroidvania ti porta materialmente di fronte ai limiti che hai, e ti promette di poter trovare gli strumenti per superarli. Sai sempre che per ogni parete troppo alta ci sarà prima o poi un salto doppio per passare oltre.

Un altro fattore chiave del suo successo è che si tratta di una formula semplice: un gioco, per essere un metroidvania, deve rispondere a poche caratteristiche. Per il resto, c’è ampio spazio per l’interpretazione degli sviluppatori. Negli anni sono stati realizzati metroidvania focalizzati sull’esplorazione o sul combattimento, ispirati ai souls-like o ai bullet-hell, incentrati sui puzzle e i rompicapi o sul platforming di precisione. È uscito almeno un capolavoro assoluto, Hollow Knight (Team Cherry, 2017). Alle sue spalle, titoli davvero per tutti i gusti: Ori and the Blind Forest (Moon Studios, 2015), Axiom Verge (Thomas Happ Games, 2015), Salt and Sanctuary (Ska Studios, 2016), Sundered (Thunder Lotus Games, 2017), Timespinner (Lunar Ray Games, 2018), Astalon: Tears of the Earth (Labs Works, 2021), Grime (Clover Bite, 2021), Aeterna Noctis (Aeternum Game Studios, 2021), Nine Sols (Red Candle Games, 2024), solo per citarne alcuni.

Ender Magnolia (Fonte: screenshot)

Nel 2021 poi, con Metroid Dread, è arrivato pure un altro capitolo del franchise da cui il genere prende metà del nome. Il termine metroidvania ha un’origine piuttosto interessante: benché i vari pezzi che avrebbero poi dato vita a quella formula siano stati concepiti, in ordine sparso, nel corso degli anni Ottanta, come mostra bene Jeremy Parish in Metroidvania Works, la prima occasione in cui assume una sua forma completa e già consolidata è senz’altro legata al franchise di Nintendo, e in particolare a Super Metroid (1994). Nel 1997 poi anche Konami dette una svolta a una delle sue serie di punta, e in Castlevania: Symphony of the Night adottò molti di quegli stessi principi di game design, trasformando un classico platform in quello che, nel giro di pochi anni, avrebbe cominciato a essere chiamato metroidvania. Quasi tutti i titoli di cui abbiamo parlato, però, devono più a Metroid che a Castlevania; tanto che qualcuno si è chiesto se non sarebbe più corretto chiamarli metroidlike. Ci sarebbe da pensarci seriamente, se non fosse che poi, all’improvviso, esce un’opera come Ender Magnolia e tutto torna magicamente in ordine.

Il nuovo gioco di Binary Haze Interactive, un seguito del già molto apprezzato Ender Lilies, migliora il titolo precedente in ogni aspetto, ma soprattutto rimette finalmente il “-vania” nel metroidvania. Non tanto perché il gameplay è orientato, più che sull’esplorazione, sul combattimento, privilegiando inoltre lo scontro corpo a corpo, con spade, asce e katane, rispetto a quello a distanza; questo, in fondo, è abbastanza comune. Andando ancora più a fondo nella distinzione, però, sono ancora gli scontri a guidare la progressione: le abilità che allargano le posssibilità nell’esplorazione e nel combattimento sono sempre la ricompensa per la sconfitta di un boss, e questo segna la vera differenza. Nel caso di Ender Magnolia poi, così come del suo predecessore, la ricompensa è letteralmente il boss.

Ender Magnolia (Fonte: screenshot)

L’idea portante della serie è infatti che la protagonista abbia solo poteri di guarigione: se Lily in Ender Lilies purificava, Lilac in Ender Magnolia accorda, ma il principio è il medesimo. Saranno i boss sconfitti, passati dalla sua parte, a conferirle nuove abilità e a comparire su schermo per combattere al suo posto durante gli scontri. I nemici presenti in questo sequel, in particolare, sono ex Homunculi, forme di vita artificiali che avrebbero dovuto portare gloria alla nazione di Vaporterra, e invece si sono trasformati in mostri fuori controllo a causa dei vapori provenienti dal sottosuolo. Lilac, che fa parte degli Accordatori, è in grado di salvare gli Homunculi; loro, in cambio, si uniranno a lei per aiutarla a soccorrere altri loro simili. La storia è piuttosto ingarbugliata e non parte nel migliore dei modi: Lilac (come Lily) si sveglia senza memoria, e la recupera un po’ per volta sbloccando vecchi ricordi, presentati al giocatore come brevi spezzoni video in stile anime.

Si capisce subito, allora, che non è nella trama il cuore di Ender Magnolia, anche se pian piano si impara a prendere confidenza con alcuni capisaldi della storia, come la rivalità tra due clan, Milius e Frost, dediti rispettivamente alla tecnica e alla magia; e si arriva presto a saperne abbastanza da poter intuire dove andare a cercare un certo oggetto, o da capire quale storia raccontino alcune ambientazioni, come la residenza di Declan, il creatore degli Homunculi—un luogo che non dimenticherò per un pezzo. Insomma, in Ender Magnolia la narrazione è piuttosto vaga, ma questo non impedisce al gioco di offrire atmosfere anche molto affascinanti ed evocative—anzi, in una certa misura aiuta. Al centro del gioco, ad ogni modo, non c’è il racconto ma la progressione: dai nemici sconfitti si guadagneranno un po’ alla volta innumerevoli abilità, tra cui ben trenta tipologie di attacco—alcune normali, altre a ricarica, altre ancora automatiche. Ottenerle non permette solo di adottare il proprio stile di combattimento preferito: c’è una grande profondità strategica nel loro utilizzo.

Ender Magnolia (Fonte: screenshot)

Al contrario di Ender Lilies, in Ender Magnolia non esiste danno da contatto; in compenso gli scontri, in particolare quelli contro i boss, continuano a risultare spesso brutali, con colpi che sono praticamente in grado di azzerare la salute di Lilac, o di infliggere danni in un’area uguale a pressapoco tutto lo schermo. Affrontare i nemici con il giusto equipaggiamento è fondamentale. Mi è capitato di provare più volte a superare un boss con scarsi risultati, e poi di batterlo in scioltezza dopo aver modificato le abilità in uso di Lilac. Il gioco invita ad adeguarsi alle varie zone, e ai diversi nemici che le popolano, anche con una quantità di modificatori delle principali statistiche, sotto forma di cimeli, gusci e anelli tra cui scegliere.

Questa enorme libertà è offerta al giocatore anche sotto altri aspetti. I punti di teletrasporto ad esempio sono solamente luoghi di destinazione, e non anche di partenza: possono essere raggiunti in qualsiasi momento da qualsiasi posizione sulla mappa. A proposito della mappa, che era uno dei principali punti deboli del titolo precedente: quella di Ender Magnolia, per chiarezza, leggibilità, utilità, e quantità di informazioni date, è la migliore che abbia mai visto in un metroidvania. Prende forma mentre si attraversa un’area, resta grigia al completamento della sua esplorazione, e diventa blu solamente quando si è raccolto o scoperto tutto ciò che conteneva. Un esempio davvero da manuale.

Ender Magnolia (Fonte: screenshot)

Stessa cosa si può dire del livello di difficoltà, e non è cosa da poco quando si parla di metroidvania–basti pensare che Metroid Dread è, con ogni probabilità, il titolo più ostico in assoluto proposto su Switch da Nintendo (che abitualmente ormai ha tutt’altro approccio al tema della difficoltà). Ora, la questione è tra le più spinose e dibattute in ambito videoludico, perché contrappone gli sviluppatori ai giocatori. Ci sono diverse linee di pensiero: c’è chi considera la difficoltà parte integrante della visione autoriale, e giudica perciò positivo dare diverse opzioni per affrontare un gioco esclusivamente a patto che sia chiaro come solo una di esse possa essere ritenuta quella “corretta”. Per quanto mi riguarda l’unica cornice teorica in cui andrebbe inquadrato il tema è la seguente: quello videoludico è, per sua natura, il medium che pone più resistenza alla propria stessa fruizione. Per finire di vedere un film basta tenere aperti gli occhi, e per concludere un romanzo è sufficiente continuare a sfogliare le pagine, ma per arrivare in fondo a un videogioco servono riflessi, coordinazione, abilità manuale, capacità deduttive, logiche, strategiche.

Per ovviare a quello che potrebbe persino essere visto come un difetto costitutivo, i videogiochi hanno una soluzione formidabile: oltre a essere delle opere, sono dei software; e perciò qualsiasi loro caratteristica può essere modificata cambiando un valore, spuntando una casella. Per fortuna anche in un genere storicamente difficile come il metroidvania capita perciò sempre più spesso di avere a disposizione diverse opzioni, e pure da questo punto di vista Ender Magnolia offre il massimo grado di libertà: il livello di difficoltà si può cambiare in qualsiasi momento, e ai tre già preimpostati si aggiunge la facoltà di creane uno personalizzato, dosando singolarmente vari parametri. Ci sarebbe forse da dire ancora qualcosa su uno stile grafico che sa regalare diverse ambientazioni spettacolari, su un level design derivativo ma pieno di spunti interessanti, e su una colonna sonora decisamente riuscita e a tratti insolitamente pop, ma credo di aver già trasmesso l’idea di trovarci di fronte a un gioco di quelli importanti. Non so se Ender Magnolia sia superiore a Hollow Knight, ma il solo fatto di avermi insinuato il dubbio mi sembra già dire tutto.