Di cosa si è parlato questo mese

Gennaio 2024: Tetris, Alan Wake II, Palworld, Rez, Townscraper e altro ancora.

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Topolino

Alla fine è successo: il primo gennaio Mickey Mouse, dopo 95 anni e numerose estensioni della durata del copyright pensate ad hoc per proteggere la proprietà più preziosa di Disney, è finalmente diventato di pubblico dominio. Più precisamente, ha smesso di essere coperta da diritti d’autore la sua prima versione, quella che appariva nel cortometraggio Steambot Willie. I videogiochi non tarderanno ad approfittare dell’opportunità: come riporta John Walker, Nightmare Forge Game sta sviluppando l’horror Infestation: Origins, in cui Topolino svolge un po’ il ruolo dei pupazzi meccanici di Five Nights at Freddy’s, mentre Fumi Games è al lavoro su Mouse, che potete immaginare come Cuphead se fosse uno shooter in prima persona dalle tinte noir. (Kotaku, 2 gennaio)

Papers, Please

Ha fatto diventare Lucas Pope uno dei game designer più noti e apprezzati al mondo; ha venduto, nei suoi primi dieci anni di vita (8 agosto 2013 – 8 agosto 2023), oltre 5 milioni di copie; è uno dei 36 videogiochi che fanno parte della collezione permanente del Museum of Modern Art di New York. Insomma, non mancano certo buone ragioni per tornare a parlare di Papers, Please, e lo ha fatto Luis Aguasvivas:

Papers, Please è uno straordinario traguardo, a prescindere da quanto le sue meccaniche e la sua rappresentazione della migrazione differiscano dalla realtà. Pochi giochi hanno un tale impatto e intrecciano narrazione e gameplay in modo così efficace. I temi del gioco sono malleabili in base al contesto sociale specifico che il giocatore porta con sé. Il gioco viene utilizzato regolarmente dagli accademici nelle aule scolastiche e continua ad affascinare i giocatori che cercano qualcosa di più rispetto a qualche ora di intrattenimento.

(Game Informer, 2 gennaio)

Tetris

Fino all’anno scorso si pensava che solo l’intelligenza artificiale potesse spingersi fino alla conclusione di un videogioco espressamente progettato per non averne una. Tetris, in effetti, non può essere finito, può solamente essere rotto; e a quel punto il gioco si blocca, la musica si interrompe, i tetramini smettono di cadere. Il 2024 si è aperto con una notizia incredibile: ci è riuscito un essere umano—per la precisione, il tredicenne Willis Gibson, appassionato di Tetris competitivo (sì, esiste, e ne parla un bel documentario, intitolato Ecstasy of Order). Il miglior racconto di questa impresa l’ha scritto Matthew Byrd. (Den of Geek, 4 gennaio)

L’arte di morire

In quasi tutti i videogiochi ci sono nemici, e in quasi tutti i videogiochi in cui ci sono nemici si muore. Non sempre, però, questo evento si rivela significativo. Davide Banis prende in esame i casi di Elden Ring, Hades e Disco Elysium:

Ho giocato a Doom Eternal qualche mese fa, morendo almeno un centinaio di volte, spesso in modi degni di un Darwin Award. Quante gemme di filosofia esistenzialista ho portato alla luce morendo così tante volte? Nessuna, perché Doom Eternal è un gioco in cui se non muori è anche meglio. Ma ci sono altri titoli in cui morire è parte integrante dell’esperienza di gioco.

Sono giochi che, con il passare degli anni e il proporzionale rallentamento dei riflessi, ho imparato ad apprezzare sempre di più. Tra i molti che si potrebbero citare, mi soffermerò su tre titoli recenti che rappresentano una trilogia emblematica di quella che potremmo chiamare “l’arte di morire nei videogiochi”.

(Link, 8 gennaio)

Alan Wake II

Un’intricata rete di connessioni lega l’universo di Alan Wake al romanzo Casa di foglie di Mark Z. Danielewski, ed entrambi alla musica di Poe, che è poi la sorella dello scrittore statunitense, autrice di un album giudicato un complemento dell’esordio letterario del fratello, ma anche di brani inclusi in entrambi i capitoli del videogioco di Remedy. Se sembra complicato è perché lo è: Eric Van Allen ha investigato, provando a fare un po’ di chiarezza. (Destructoid, 12 gennaio)

Cambiando argomento, ma non videogioco: Alan Wake II parla troppo di polizia? (No Escape, 18 gennaio)

RoboCop: Rogue City (Fonte: press kit)

RoboCop: Rogue City

Il film di Paul Verhoeven e i suoi sequel erano in connessione con tematiche politiche e sociali che il videogioco sviluppato da Teyon fatica a comunicare, scrive Yussef Cole:

Rogue City può certamente imitare il linguaggio dei film e della loro ambientazione, ma parla senza capire, pronuncia le parole senza intenderle veramente. Non è diverso da un bambino di dieci anni che urla “vivo o morto, tu vieni con me”.

Forse questo dice qualcosa sui giochi in generale, almeno su quelli che cercano di fare lo stesso tipo di cose che fa Rogue City: perfezionare l’estetica, controllare la simulazione, replicare il genio e l’immaginazione di storie migliori. Sono più vicini ai giocattoli che a qualsiasi altra cosa, action figure digitali con budget milionari che eccellono soprattutto nel restituirci i sentimenti ai quali siamo stati costretti a rinunciare quando abbiamo lasciato l’infanzia per entrare nell’età adulta.

(Bullet Points Monthly, 17 gennaio)

Nintendo Adventure Books

Oggi sarebbe impensabile, ma a partire dal giugno del 1991 (con Double Trouble), Nintendo ha permesso alla casa editrice americana Simon & Schuster di pubblicare una serie di dodici libri-game su licenza, senza neanche supervisionarne troppo i contenuti, per promuovere l’imminente uscita negli Stati Uniti del Super Nintendo e di Super Mario World. John Szczepaniak (autore dei bellissimi volumi di The Untold History of Japanese Game Developers) è riuscito a rintracciare Russell Ginns, che ne ha scritti almeno cinque, per farsi raccontare meglio questa storia. (Time Extension, 24 gennaio)

The Legend of Zelda: The Minish Cap

È un gioco praticamente perfetto e non se ne parla mai abbastanza. Kerry Brunskill ricorda come a renderlo unico nella serie fosse la possibilità di rimpicciolire Link:

Il concetto di una persona grande che si trova in qualche modo in mezzo a persone estremamente piccole non è esattamente una novità – I viaggi di Gulliver ha ormai quasi tre secoli, dopotutto – quindi sono rimasta sorpreso nel vedere un’idea così semplice utilizzata così bene qui, e in modi così interessanti. Un barile di legno vuoto diventa un inaspettato esempio iniziale: lo si libera dai suoi ormeggi, si mette Link al suo interno e poi lo si lascia correre lì dentro come un criceto, ruotando i buchi nelle pareti per creare nuove uscite. È un’operazione così perfetta da sembrare assolutamente magica, come se mi fossi imbattuta in un oggetto di uso quotidiano e un’utile combinazione di fisica e buon senso lo avesse trasformato in qualcosa di speciale.

(Kimimi The Game-Eating She-Monster, 15 gennaio)

Juliette Taing mette in evidenza anche la continuità con altri RPG, e la varietà di approcci offerta ai giocatori:

Non è tanto l’eroismo della missione di Link a spiccare, quanto l’amore che trabocca dal mondo e dai suoi abitanti. L’esplorazione è sempre un piacere e gli oggetti supportano perfettamente questa esperienza: a differenza di altri titoli che talvolta trascuravano alcuni oggetti al di fuori dei dungeon, The Minish Cap riesce a mantenerli rilevanti per tutta l’avventura – con l’eccezione dell’arco, che viene messo in ombra dalla versatilità del boomerang. Fujibayashi ha creato oggetti unici, multifunzionali e sempre essenziali per il movimento. La Giara Magica può essere usata per attirare e respingere cose e nemici, mentre il Bastone Sottosopra può servire a capovolgere oggetti o a trasformare dei buchi in trampolini. I nemici possono anche essere sconfitti in una varietà di modi creativi. In generale, The Minish Cap rifiuta l’idea della spada come arma principale, così come si è poi affermata nei giochi 3D di Zelda: la spada è un oggetto come un altro, che il giocatore creativo può ampiamente ignorare se usa il resto del suo arsenale in modo astuto.

(Bump Combat, 17 gennaio)

FFVII House

Una storia davvero inquietante legata al fandom di Final Fantasy VII. L’ha ricostruita Eleonora C. Caruso. (Lucy, 22 gennaio)

Prince of Persia: The Lost Crown (Fonte: press kit)

Prince of Persia: The Lost Crown

Per quanto incredibile possa sembrare, in 35 anni di storia del franchise, in Prince of Persia nessun personaggio aveva mai parlato persiano. Kamiab Ghorbanpour ha intervistato l’attore Sepehr Torabi e diverse altre persone che si sono occupate della localizzazione del nuovo titolo di Ubisoft:

Tutti quelli con cui ho parlato ritengono che The Lost Crown sia un enorme passo avanti nella rappresentazione della cultura persiana, nonostante le critiche e alcuni problemi. Un titolo popolare, con un protagonista dai capelli biondi che si muove in un ambiente insulsamente orientalista da Mille e una notte, e che è persiano solo di nome, sta ora muovendo i primi passi per rappresentare la cultura da cui ha preso tanto in prestito e su cui ha guadagnato centinaia di migliaia di dollari.

(GamesIndustry.biz, 18 gennaio)

Necrologi

Un ricordo di alcune personalità del settore videoludico scomparse nel 2023. (The History of How We Play, 1 gennaio)

Rez

Damien McFerran ripercorre la realizzazione del capolavoro di Tetsuya Mizuguchi intervistando sia lui che Jake Kazdal, uno dei pochi sviluppatori non giapponesi coinvolti nella realizzazione di Rez. Alcuni aneddoti sono particolarmente curiosi:

«Durante lo sviluppo, l’ispirazione veniva da ogni dove. Una delle mie maggiori influenze è stata quasi casuale», racconta Kazdal, che avrebbe progettato, modellato e animato una selezione di nemici per i mondi 1 e 2. «Un fine settimana ero in giro per locali a Tokyo e sono rimasto affascinato dalle visualizzazioni sonore di WinAmp che un VJ stava usando. Ne ho filmate un po’ e le ho mostrate a Mizuguchi la settimana successiva, mentre eravamo in piena fase di sviluppo visivo di Rez, e questo ha davvero guidato lo stile per il resto del progetto».

Altrove, una festa in strada in Kenya avrebbe fornito un altro tipo di ispirazione. «Nobuhiko ‘Ebizo’ Tanuma, il mio partner creativo che era il sound director del gioco, ha fatto un viaggio in Kenya e ha girato un video lì, per strada», spiega Mizuguchi. «Le persone stavano cenando all’aperto, poi all’improvviso un ragazzo ha iniziato a improvvisare un ritmo. Le persone intorno si sono unite; le donne hanno iniziato a cantare. Ho guardato il video moltissime volte, soprattutto per il modo in cui il suono si costruiva. È stato un grande passo avanti nello sviluppo creativo del gioco».

(Time Extension, 13 gennaio)

Super Smash Bros.

Questo mese—precisamente il 21 gennaio—Super Smash Bros. ha compiuto 25 anni, ma, si chiede Hope Pisoni, si tratta di un anniversario che merita davvero di essere celebrato? (Paste Magazine, 24 gennaio)

Palworld

In 3 giorni ha venduto 5 milioni di copie, ha fatto parlare tantissimo di sé ed è stato indubbiamente “il gioco del mese” di gennaio. Ma, come nota Cass Marshall, dietro al successo di Palworld non si nascondono forse i demeriti del gioco a cui più somiglia, vale a dire di Pokémon?

In particolare i fan di vecchia data hanno chiesto temi più maturi e situazioni più complesse da affrontare nei giochi Pokémon, ma Game Freak e The Pokémon Company sono rimasti in gran parte convinti di dover mantenere un tono adatto ai bambini. Palworld non è stato costruito per soddisfare le richieste dei fan, ma ha un certo fascino per quei giocatori. Non ci sarà mai un gioco Pokémon che si spinga fino a Palworld, dove il giocatore può far lavorare i suoi Pals in condizioni orribili per produrre armi in serie. Ma è quasi uno sguardo su una realtà alternativa, in cui il franchise dei Pokémon è diventato strano e sperimentale, e non ha temuto di rilasciare titoli destinati solo agli adulti.

(Polygon, 23 gennaio)

Yakyuken

Yakyuken di Hudson Soft è stato il primo eroge (gioco giapponese a sfondo erotico) commerciale? Un’indagine di Joey Wawzonek. (Gaming Alexandria, 25 gennaio)

Townscraper

Nei prossimi mesi usciranno Tiny Glade, per costruire castelli, Summerhouse, per costruire case, e Monterona, per costruire borghi in stile italiano. Sono tutti titoli ispirati a Townscraper, che mirano a offrire varianti di quel preciso genere di gameplay in cui costruire è un’attività libera e priva di stress. In maniera un po’ imprevedibile, Oskar Stålberg si è rivelato essere l’autore di una delle opere videoludiche più influenti degli ultimi anni, e Lauren Morton lo ha intervistato.

«Quando si può vincere, si gioca per vincere. Quando si tiene il punteggio, si gioca per il punteggio», dice Stålberg. «Si smette di guardare il mondo che si sta costruendo e si inizia a guardare il contatore dei punti. Si inizia a costruire un filtro nella propria testa che non vede la città in sé, ma il modo in cui si adatta all’obiettivo del gioco. Sviluppare questo filtro è una parte divertente nell’apprendimento di un gioco, ma nasconde anche le vere immagini, e non volevo questo. Volevo che le immagini e la gioia di creare fossero il punto focale».

(PC Gamer, 25 gennaio)

The Sims

Ci entri magari giusto per passare qualche ora di svago, ne esci con una passione che può trasformarsi in una carriera: Jane Englefield racconta come The Sims abbia ispirato un’intera generazione di interior designer. (Dezeen, 25 gennaio)

Recuperi

Non sono uscite a gennaio, ma sono tre interviste da non perdere:

  • Kevin Purdy intervista Mariina Hallikainen, CEO di Colossal Order, dopo l’uscita di Cities: Skylines 2. (Ars Technica, 18 dicembre)
  • Joshua Khan intervista Manami Matsumae e Takashi Tateishi, autori della colonna sonora di Mega Man 2. (Inverse, 29 dicembre)
  • Keza MacDonald intervista Shigeru Miyamoto, probabilmente la singola persona più importante nell’intera storia del medium videoludico. (The Guardian, 30 dicembre)

Al mese prossimo!