Su, Su, Giù, Giù, Sinistra, Destra, Sinistra, Destra, B, A

La lunga e sicuramente scorretta storia dei cheat code.

Da quando esistono i giochi competitivi, sono apparsi gli imbrogli. Forse è solo la natura umana? Anche prima dei videogiochi la gente barava costantemente negli sport, nei giochi da tavolo e, naturalmente, a carte, dando luogo alle innumerevoli sparatorie del far west. Una delle prime e più elementari forme di imbroglio nei videogiochi consisteva nello staccare il controller dell’avversario dalla console. Oppure distrarlo bloccando la visuale del televisore o, ancora, dargli una rapida gomitata “accidentale” dritta sulle costole. Alcune delle prime console domestiche, tra cui Magnavox Odyssey, erano dotate di una pistola come periferica, con la quale si doveva sparare ai bersagli luminosi sullo schermo; si scoprì presto che si poteva barare semplicemente puntandola contro una lampadina o un’altra fonte luminosa per ottenere un colpo messo a segno.

Ma che dire dei codici cheat da digitare per ottenere vite infinite e sbloccare ogni sorta di altri effetti? Quando e come sono nati? E perché sono passati di moda? Non vi è certezza su quale sia stato il primo cheat code in assoluto, ma la “parola magica” XYZZY in Colossal Cave Adventure di Will Crowther è una serio candidato. Scritta su una parete della caverna, teletrasporta istantaneamente il giocatore tra due luoghi, evitando così di dover fare un noioso backtracking per riportare a casa i tesori conquistati.

Secondo la sorella di Crowther, Betty Bloom, una delle prime persone a testare il gioco per mainframe PDP-10 del 1976, quel cheat code venne aggiunto per lei. In un’intervista telefonica del 2002, ha rivelato: «Mi annoiavo a dover seguire tutti i passaggi ogni volta e ho detto: “Voglio entrare direttamente nel vivo del gioco“». Se solo esistesse un codice magico al giorno d’oggi per evitare di dover scaricare un enorme aggiornamento obbligatorio per ogni nuovo gioco. Il codice XYZZY è rimasto così famoso da venire utilizzato in molti giochi successivi, tra cui Return To Monkey Island e Minesweeper, e anche, come comando, in alcuni sistemi operativi, anche se a volte si ottiene solo uno scherzoso messaggio che recita “Non succede niente”.

Negli anni Ottanta e Novanta, i giochi arcade avevano un tipo di difficoltà che poteva risultare frustrante per chiunque non avesse i tempi di reazione e la destrezza di un pilota di caccia. Anche gli sviluppatori di giochi potevano trovarli difficili, compreso il compianto Kazuhisa Hashimoto, che ha ideato il cheat code più famoso di tutti: il codice Konami.

Mentre lavorava alla conversione per NES del coin-op Gradius nel 1986, durante i test lo trovò troppo difficile da giocare. Così ideò il suo cheat che, con la pressione dei tasti Su, Su, Giù, Giù, Sinistra, Destra, Sinistra, Destra, B, A, permette al giocatore di ottenere una serie completa di potenziamenti. In un’intervista giapponese del 2003 sul sito web della Game Staff List Association, ha rivelato: «Poiché ero io a doverlo usare, mi sono assicurato che fosse facile da ricordare».

Se fosse destinato o meno a rimanere nel gioco una volta pubblicato rimane un mistero, ma il memorabile codice è stato utilizzato—a volte in forma modificata, a seconda della piattaforma—in numerosi franchise di Konami, tra cui Contra, Castlevania, Teenage Mutant Ninja Turtles e Dancemania. È stato adottato anche da altri studi e utilizzato in giochi come Crash Bandicoot, Kerbal Space Program e Grand Theft Auto: The Trilogy. È apparso inoltre in contesti diversi dal gioco, come browser web, telefoni e altoparlanti intelligenti: provate a dirlo ad Alexa, Siri o Google Assistant.

Come nel caso di Hashimoto, i codici cheat venivano spesso utilizzati a scopo di test durante lo sviluppo di un gioco, per evitare di rigiocare i primi livelli, e talvolta finivano nella versione finale disponibile al pubblico. Un esempio è il codice presente nelle versioni originali Bug-Byte a 8 bit di Manic Miner (1983), che si basava sul numero di patente del programmatore Matthew Smith: digitandolo si accedeva alla selezione dei livelli.

Andy Braybrook, creatore di giochi classici per C64 come Paradroid e Morpheus, racconta che i publisher a volte facevano pressione sugli sviluppatori per aggiungere modalità di cheat «in modo da poter verificare la completezza del gioco, o saltare una parte che non funzionava correttamente. A volte insistevano affinché la modalità cheat fosse presente nella copia master finale, in modo da poterla prima testare». Come però osserva, «se nella versione finale c’è un codice cheat, magari comunicato soltanto al publisher e ai recensori, prima o poi verrà reso pubblico».

Pure Jon Hare di Sensible Software ricorda l’uso di codici cheat per accedere a diverse parti dei loro giochi. «In Mega-lo-Mania usavamo diversi codici di avvio da digitare per accedere a vari salvataggi». Il gioco finito presenta un’opzione che consente di inserire le password per saltare ai livelli successivi con vite extra. Per Wizkid, Sensible ha incluso un sistema di cheat basato sulle porte dei bagni degli uomini e delle donne nel primo livello: «È possibile trovare ogni tipo di cheat entrando nelle porte in un certo ordine», spiega Hare. «Dopo un po’, entrando nella porta si torna nell’atrio e, entrando nelle porte in sequenze diverse, si possono trovare diversi cheat che danno soldi extra, diamanti e altre chicche».

Un articolo apparso su
Wireframe #68
Tradotto da
Gilles Nicoli
Data della pubblicazione originale
3 novembre 2002
Anche se gli sviluppatori non avessero mai incluso cheat nei loro giochi, questo non avrebbe impedito ad alcuni giocatori di trovare un modo per barare. Nessuna rivista specializzata degli anni ’80 e ’90 che si rispetti era priva di una sezione di suggerimenti con i POKE per hackerare e modificare i giochi a proprio vantaggio. In molti dei primi giochi per computer a 8 bit, si poteva semplicemente iniziare a caricare un gioco, interromperlo, eseguire un comando POKE per inserire un nuovo valore in un indirizzo di memoria, ad esempio per ottenere vite infinite, e poi continuare. Alcuni cheat POKE assumevano la forma di mini-programmi a più righe che l’utente doveva eseguire.

Prima dell’arrivo delle patch, questa pratica poteva essere utilizzata anche per correggere i bug di un gioco. Il platform Jet Set Willy di Software Projects per Sinclair Spectrum presentava il famoso bug “Attic”, che rendeva impossibile muoversi in alcune stanze dopo che Willy aveva visitato la soffitta. L’azienda finì per rilasciare un POKE ufficiale per correggere il bug e consentire il completamento del gioco. Altri publisher non ne erano così entusiasti e, quando vennero introdotti caricatori di software basati sul codice macchina che disabilitavano il BASIC, fu necessario un nuovo modo di inserire i POKE.

La risposta arrivò sotto forma di cartucce cheat come Action Replay di Datel, le cui versioni successive includevano persino uno strumento chiamato Pokefinder per trovare nuovi cheat. L’ex coordinatore delle pubbliche relazioni di Datel, Ian Osborne, ricorda che «si premeva un pulsante per bloccare il gioco, lo si riavviava, si moriva di proposito, poi si bloccava di nuovo, e l’Action Replay trovava tutti i valori che erano stati ridotti di uno. Ripetendo il processo, si poteva arrivare a restringere il campo a un solo valore e a violarlo per ottenere vite infinite. Questa procedura poteva essere utilizzata anche per qualsiasi oggetto consumabile del gioco, come munizioni, granate e così via».

Ad alcuni studi non piaceva che i loro giochi venissero violati, ricorda Osborne: «Sull’Amiga, se si bloccava e si copiava RoboCod con un Action Replay, il pulsante di direzione del joypad continuava a cambiare in modo casuale, così il gioco diventava impossibile da controllare». Le cartucce cheat hanno attirato anche l’opposizione della Entertainment and Leisure Software Publishers Association (ELSPA) a causa della possibilità di infrangere le protezioni anticopia e creare copie di backup.

Nel frattempo, i codici cheat tradizionali, integrati nei giochi, stavano diventando sempre più sofisticati e fantasiosi. Oltre alle vite infinite e ai salti di livello, venivano offerti effetti divertenti di ogni tipo, tra cui la gravità lunare (Tony Hawk’s Pro Skater 2), la modalità testa grossa (NBA Jam) o l’apparizione di un carro armato rinoceronte (Grand Theft Auto III).

Uno dei cheat più noti è stato il Blood Code per la versione Mega Drive di Mortal Kombat. Per impostazione predefinita, non c’era una sola goccia di sangue in questa conversione apparentemente pulita del violento coin-op che aveva attirato le ire dei politici censori negli Stati Uniti. Inserendo il codice cheat ABACABB, tuttavia, era possibile sbloccare tutto il sangue e il gore del gioco, comprese fatality come lo Spine Rip di Sub-Zero.

Gli anni Novanta e i primi Duemila sono stati un’epoca d’oro per la popolarità dei codici cheat e dei segreti sbloccabili, che portò alla nascita di riviste dedicate ai trucchi, come PowerStation; numerosi libri poi, tra cui le guide ufficiali di Prima e BradyGames; e siti web come GameFAQS.

L’accettabilità degli imbrogli, tuttavia, subì una flessione con l’arrivo del multiplayer online. Non c’è niente di così fastidioso come credere che l’avversario stia usando un trucco, come un “triggerbot” di puntamento automatico, per ottenere un vantaggio sleale. Alcuni exploit utilizzano persino la computer vision e l’IA. È diventato un problema importante: uno studio Irdeto del 2018 ha rilevato che il 37% dei giocatori ammetteva di aver barato. Questo ha portato alla nascita di software anti-cheat, come il VAC di Valve, per contrastare il problema.

Gli hacker possono anche barare per ottenere ricompense di gioco. «Durante lo sviluppo di Sociable Soccer negli ultimi sette anni» afferma Jon Hare, «abbiamo dovuto costantemente strutturare il codice del gioco in determinati modi, per ridurre al minimo l’impatto di nuove forme di cheating che avrebbero potuto essere sfruttate interferendo con la trasmissione di informazioni tra client e server… se non viene gestita correttamente, è facile per gli hacker ottenere ogni sorta di ricompensa».

I codici cheat tradizionali che prevedono la pressione di alcuni tasti o pulsanti sono diventati una rarità nei giochi moderni, anche nei titoli single player, probabilmente perché possono rovinare sistemi di achievement da sbloccare accuratamente progettati. Tuttavia, i codici cheat non sono ancora scomparsi del tutto. Giochi come Fallout: New Vegas, The Elder Scrolls V: Skyrim e Grand Theft Auto V portano avanti la tradizione, consentendo ai giocatori di sperimentare i cheat mentre trofei e obiettivi sono disattivati. A patto che non rovinino il gioco, sembra che i codici cheat possano continuare a prosperare.