Carmack e Romero: plan war

Lo scontro tra i due John prosegue a distanza.

Il 1996 rappresenta un anno cruciale per id Software: il conflitto tra i due John—Carmack e Romero—diviene insanabile, e si risolve con uno scisma. L’alchimia tra i due sviluppatori aveva rivoluzionato la storia dei videogiochi dando letteralmente vita ad un nuovo genere, i first person shooter, divenuto in pochi anni uno dei paradigmi fondamentali del medium videoludico. Il successo di Doom e Quake, fenomeno la cui influenza aveva abbandonato le buie stanzette dei videogiocatori per fare irruzione nel pop, aveva lanciato i due John nella stratosfera. Lassù però le regole cambiano. Il deathmatch che da sempre era servito in id come propellente per creatività e innovazione si sposta al di fuori di essa, insegue Carmack e Romero e continua a determinarne il confronto: si combatterà tra id e Ion Storm, la nuova software house di John Romero.

Il lancio stesso di Quake nel giugno del 1996 racconta una storia giunta al capolinea, con Romero che per la prima volta si trova da solo a premere il tasto che avrebbe lanciato online la versione shareware del titolo così trepidamente atteso: il cameratismo dei tempi di Doom è solo un ricordo. Per John Carmack, Adrian Carmack (non parente di John) e Kevin Cloud la decisione è presa, non è più possibile lavorare con Romero, e gli chiedono di lasciare la compagnia. D’altro canto Romero stesso stava pensando ad un futuro post-id, e firma le dimissioni avendo già in mente quel che sarebbe venuto dopo. Insieme a Tom Hall, che aveva lasciato id qualche tempo prima per entrare in Apogee/3D Realms, fonda Ion Storm.

Gli ex-soci pubblicano la notizia tramite due file .plan, format che era diventato negli anni un marchio di fabbrica delle public relation di id: in quello di Romero leggiamo: «Ho deciso di lasciare id Software e fondare una nuova azienda di videogiochi con obiettivi differenti»1«I’ve decided to leave id Software and start a new game company with different goals».. Quello di Carmack dice qualcosa di più su premesse e conseguenze dell’evento: «Romero ha lasciato id. Non ci saranno più annunci grandiosi sui nostri futuri progetti. Potrei parlarvi di quel che penso, e di quello che sto cercando di portare a termine, ma tutto quel che prometto è il mio massimo impegno»2«Romero is now gone from id. There will be no more grandiose statements about our future projects. I can tell you what I am thinking, and what I am trying to accomplish, but all I promise is my best effort»..

Questo articolo è la seconda e ultima parte del racconto della storia dei fondatori di id Software, che non sarebbe stato possibile senza il prezioso contributo del libro "Masters of Doom" di David Kushner. La prima parte:
Così i due team sono schierati, da una parte id Software, sempre più evidentemente riconoscibile come prolungamento della personalità e del talento di John Carmack, e dall’altra Ion Storm, creatura di Romero. Tutte le differenze tra i due troveranno espressione in come le due software house andranno definendosi. Ogni singola criticità che aveva messo in crisi i rapporti tra i due John in id diviene tratto saliente e rappresentativo di ciascuna delle due nuove realtà. Se Carmack aveva sempre sostenuto la necessità di “rimanere piccoli”, sviluppando un gioco per volta, in uffici sobri ed essenziali, senza divenire anche publisher dei propri prodotti ma delegando questa parte del business a terzi (vedi GT Interactive e Activision), Romero aveva sempre spinto per dar vita a qualcosa di più grande. Nella sua visione la compagnia stessa doveva essere specchio del sogno che stava proponendo: la sede di Ion Storm doveva essere tanto visionaria quanto i propositi che animavano chi la guidava. Scelse quindi uno stabile faraonico con vetrate che da ogni lato spaziavano su Dallas, con costi di gestione e affitto intorno ai 350.000 dollari mensili.

Il messaggio per il mondo era che i videogiochi avevano dato vita ad un impero, e che quell’impero era il posto ideale da cui fare altri videogiochi. E le condizioni che negozia con il publisher (Eidos) sono all’altezza di questa visione: 3 milioni di dollari per ciascun titolo, più il 40% di royalty. Può risultare facile oggi intravedere il germe che avrebbe a breve fatto scricchiolare i sogni di grandezza, ma dobbiamo calarci nel contesto: Romero era la star di quel fenomeno che aveva stravolto la visione stessa dell’industria videoludica, generando profitti milionari.

Il successo del deathmatch incarnato da Doom e Quake faceva da garanzia e salvacondotto, motivando investimenti da cui ci si aspettava un ritorno grandioso. Altrettanto importante è osservare come fossero gli anni delle dev-star, sviluppatori che si portavano dietro un carisma e un’immagine che tendevano a fondersi con quello della loro software house: pensiamo a titani come Sid Meier con Firaxis, Will Wright con Maxis, Richard Garriott con Origin. Non che oggi l’industria videoludica sia esente da fenomeni controversi di hype legati a qualche grosso sviluppatore o ad annunci mirabolanti (gli esempi più eclatanti Cyberpunk 2077 e No Man’s Sky), ma a metà anni Novanta c’era evidentemente un ottimismo imprenditoriale che Romero seppe cavalcare con grande abilità.

Per chiarire come le due compagnie si differenziassero davvero su un piano filosofico, che trascende i concetti puramente economici planando nel mondo delle idee, risultano utili le parole che Carmack usa in un comunicato per commentare il passaggio di Mike Wilson e Shawn Green da id a Ion Storm: «In molti leggeranno ciò che vogliono nelle partenze da id, ma il nostro team di sviluppo è più solido che mai. Romero è stato cacciato da id perché non lavorava abbastanza… penso che tre programmatori, tre artisti e tre level designer siano sufficienti per realizzare i migliori giochi del mondo… stiamo riducendo il nostro ruolo di publisher così da essere soprattutto sviluppatori. Questo è sempre stato un motivo di discussione con Romero—lui vuole un impero, io voglio solo fare dei buoni giochi. Ora siamo tutti contenti»3«Lots of people will read what they like into the departures from id, but our development team is at least as strong now as it has ever been. Romero was pushed out of id beacause he wasn’t working enough… I believe that 3 programmers, 3 artists, and 3 level designers can still create the best games in the world… we are scaling back our publishing biz so that we are mostly just a developer. This was always a major point of conflict with Romero—he wants an empire, I just want to create good programs. Everyone is happy now»..

In id si respira un clima di quiete, lontano dai tempi deathmatch con Romero, niente annunci altisonanti, l’engine di Quake 2 è praticamente finito e i designer lavorano sul gioco. Romero commenta così su Wired il clima nella id di Carmack: «Dopo che ho abbandonato, il clima in id è diventato tetro, triste. Nessun progetto per ampliare l’azienda, nessuno che contesti Carmack su questioni rilevanti»4«After I left the mood at id turned dark and gloomy. No more plans to expand the company, no one to confront Carmack on important issues».. Nella sua azienda ci sono 85 dipendenti, divisi in vari team, con l’obiettivo di lavorare su tre diversi titoli. C’erano sale giochi e spazi comuni volti a dar vita ad uno spazio che non fosse solo lavorativo, ma di confronto continuo tra hardcore gamer, anche al di là dell’orario di lavoro. Ion Storm e id sembrano sempre più i termini di un confronto che va oltre la rivalità commerciale, rifacendosi alle dicotomie Arte e Scienza, Dionisiaco e Apollineo: Ion si raccontava come il luogo in cui esprimersi in libertà, in cui i sogni diventavano realtà. Per il Times Romero ha parole forti, e dichiara che presto Ion supererà id: «Succederà, e sarà grandioso».5«It’s going to happen, and it’ll be great»..

Le condizioni con cui Romero aveva lasciato id sono determinanti per capire gli sviluppi imminenti, nonché per tornare su una delle distinzioni più spesso rimarcate nel confronto tra i “due John”. Da sempre in id Software il talento visionario di Carmack era totalmente orientato allo sviluppo dell’engine, mentre la creatività di Romero si esprimeva nel level design. Sarebbe limitante fissarsi sulla dicotomia che vede Carmack scrivere codice a testa bassa, cieco alle esigenze del gameplay, e Romero totalmente versato nell’immaginare livelli senza considerare il peso dell’engine: la realtà è più sfumata e non va ridotta a stereotipi, ma nei fatti id si trovò a lavorare moltissimo sull’innovativo engine di Quake, ed inevitabilmente il tempo e le risorse per rinnovare il gameplay ne risentirono. In buona sostanza si trattava di un “nuovo Doom”, stavolta con il 3D vero, ma senza le novità a livello di gameplay che la stessa id si auspicava durante le fasi inziali di sviluppo. L’assioma che Romero poneva come baluardo della sua visione del gaming è cristallino:

Design is Law.

Per lui erano finiti i tempi in cui il game design veniva limitato dalle esigenze di sviluppo dell’engine, finendo per essere asservito alla dittatura della corsa tecnologica: in Ion Storm si sarebbero dedicati interamente al gameplay, utilizzando l’engine di id Software (chiamato id Tech). Non era una pratica che nasceva in quell’occasione ovviamente, già il motore di Doom era stato venduto a terzi e utilizzato per lo sviluppo di titoli di un certo peso, come Heretic e Hexen, e a loro volta gli id Tech venturi sarebbero diventati engine di parecchi FPS. Romero aveva quindi a disposizione il motore grafico di Quake, e il diritto a utilizzare i successivi id Tech non appena il gioco relativo fosse stato rilasciato da id Software; al contempo rinunciava alle royalty sulle vendite dei titoli id, Quake compreso, pur beneficiando di una buonuscita intorno ai 10 milioni di dollari. Una sede sfavillante, un dream team di gamer-sviluppatori al servizio del suo genio creativo, il motore di Quake a totale disposizione… era giunta l’ora per Romero di annunciare il titolo con cui conquistare il pubblico e superare id Software: Daikatana.

Daikatana sarebbe stato un FPS basato sull’engine di Quake, con molti più nemici, più armi, e soprattutto ambientazioni estremamente diversificate: Giappone feudale, antica Grecia, Norvegia medievale, fino ad una San Francisco post-apocalittica. Si trattava di un progetto che è eufemistico definire ambizioso, richiedendo le risorse di design necessarie per riempire, in pratica, quattro diversi giochi. Il titolo del gioco si rifaceva alle avventure giocate a Dungeons and Dragons ai tempi dell’amicizia con Carmack: Daikatana era una spada incantata con cui Romero aveva finito per stringere un patto coi demoni. In Dungeons and Dragons l’avventura si era risolta con la fine del mondo, una sorta di colossale game over; stavolta voleva usare la spada per conquistarlo. Ma come abbiamo visto l’impero Ion Storm era fondato sulla convinzione di poter lavorare contemporaneamente a più titoli: così, Tom Hall dirigeva lo sviluppo dell’RPG Anachronox, Todd Porter l’RTS Dominion, e di lì ad un paio d’anni sarebbe arrivato anche Warren Spector con il progetto Deus Ex.

Una mattina John Carmack si trovò suo malgrado a pubblicare un file .plan diverso dal solito, raccontando che la sua Ferrari F40 era appena stata centrata da un pickup. La risposta di Romero non fu propriamente consolatoria: “The F40 got hit. Carma. [L’F40 è stata colpita. Carma]”, evidente il gioco di parole tra Karma e car, auto in inglese. Questi .plan tagliano come un coltello l’aria tesa che aleggiava tra Ion Storm e id, un deathmatch fatto di scambi sempre più intensi e belligeranti, che prende l’appropriato nome di plan war. Anche le comunicazioni con la stampa diventano substrato per aizzare la guerra, vento che soffia sulle fiamme: l’ufficio stampa di Romero non faceva che dipingerlo come “responsabile dello sviluppo, del design e della progettazione dei giochi id”, “il talento creativo dietro a id, responsabile di aver creato i successi Doom e Quake6“responsible for the programming, design, and project management of the id’s games, the creative talent behind id, responsible for creating the blockbusters Doom and Quake”.. Quello che faceva scaldare gli animi in id era il fatto che Romero non si prendesse assolutamente la briga di rettificare gli annunci stampa che, si sa, possono essere parziali o quantomeno approssimativi.

Cominciarono quindi a partire da id dei .plan che attaccavano l’atteggiamento di Romero che, da parte sua, si presentava spesso negli uffici di id nel modo più amichevole possibile, come se al contempo non si stesse rapportando in maniera controversa o persino ostile con il suo ex studio. La frangia più belligerante di id, composta da Adrian Carmack, Paul Steed e Kevin Cloud, rispose alle incursioni di Romero con una gitarella in Ion Storm: notando che usavano un software antiquato per le animazioni, scrissero un .plan a riguardo causando un’escalation che vide i dipendenti delle tue compagnie insultarsi quotidianamente, nella fase più accesa della plan war. Paul Steed, particolarmente agguerrito, rispose così a Romero che gli chiedeva sarcasticamente di scrivere un commento per il retro della box di Daikatana: «Amico, non prendermi in giro o ti affero per quei capelli ridicolmente lunghi e ti rimando a calci nel culo ai tempi di Doom, dove ti piacerebbe ancora essere»7«Dude, don’t fuck with me because I’ll grab you by your ludicrously long hair and kick you ass back into the Doom days where you wish you were»..

Finora John Carmack si era tenuto fuori dalla mischia, ma decise di tentare quello che definì “an experiment in mood manipulation [un esperimento di manipolazione dell’umore”, un esperimento psicologico]. Più probabilmente, nonostante la sua attitudine a mantenere un profilo basso e concentrarsi sul lavoro, voleva togliersi qualche sassolino dalla scarpa. In un’intervista al Times fa delle dichiarazioni che sembrano proprio puntualizzare alcuni dettagli che potevano agli occhi del mondo risultare ambigui, quando per lui era fuori di dubbio che Romero avesse perso ogni credibilità. Innanzitutto spiega che Romero non aveva “lasciato id”, era stato licenziato perché dopo essere diventato “rich and famous” non aveva più alcuna spinta a impegnarsi davvero nel lavoro. Concludeva poi affermando che il rivale non sarebbe mai stato in grado di mantenere la promessa di far uscire Daikatana entro Natale. La risposta di Romero ribadiva le consuete accuse all’ambiente tossico di id, società Carmack-centrica senza libertà di pensiero e povera di ambizione.

Dopo le schermaglie della plan war era ora di passare ai fatti, perché era arrivato l’E3 del giugno 1997. L’E3 era la principale fiera del mondo videoludico: la vetrina dove le software house presentavano i titoli in fase di uscita. Quell’anno l’hype era alle stelle. Id avrebbe presentato il trailer di Quake 2, Romero quello di Daikatana, Eidos al contempo era forte del successo di Tomb Raider e ne sfoggiava l’atteso sequel: l’expo era invasa da modelle vestite da Lara Croft. Anche in ambito console volavano nomi che avrebbero fatto la storia, da Metal Gear Solid a Final Fantasy VII, mentre Nintendo esibiva i primi video di Zelda: Ocarina of Time. Ma in tutto ciò, la vera star risultava John Romero. Schiere di fan lo circondavano come seguaci di un culto, al suono del mantra “We’re not worthy, we’re not worthy… [Non siamo degni]”: e anche il suo look era in perfetta concordanza con l’immagine della rockstar, con i lunghissimi capelli neri che cadevano dietro le spalle. In un’intervista online aveva persino descritto la hair routine con cui, in dieci step, otteneva quel suo look caratteristico. Ma la cosa che più aveva soffiato sull’hype intorno a Daikatana era la controversa pubblicità lanciata da Ion Storm pochi mesi prima.

La terribile pubblicità di Daikatana.

Si trattava di una semplice scritta rossa su sfondo nero: “John Romero’s about to make you his bitch [John Romero farà di te la sua puttana]” e subito sotto “Suck it down! [Succhialo!]”. L’intento era sicuramente quello di colpire, sconvolgere, far parlare di sè: e infatti Romero era ovunque, intervistato dal Wall Street Journal, da Fortune, da Computer Gaming World. La pubblicità fu comunque controversa, e fece storcere il naso a gran parte degli appassionati; ma si trattava della star del momento, il padre di Wolfenstein, Doom, Quake: c’erano le premesse perché le elevatissime aspettative, sempre più pompate da Romero stesso, venissero soddisfatte. Lo stand di Daikatana era al centro del padiglione Eidos: la demo era una sorta di carrellata degli spazi effettivamente innovativi in cui il gioco sarebbe stato ambientato, rispetto alle tinte dark dei giochi precedenti qui si vedevano distese di neve, spazi aperti, templi grecoromani. Non aveva l’aria della demo di un gioco che deve essere rilasciato in sei mesi, faceva pensare un po’ all’intro che tutti ricordiamo di Unreal (seppur con una grafica decisamente più acerba). Comunque il pubblico era piacevolmente colpito, un po’ come succede oggi per quei teaser vergognosamente criptici ma che stuzzicano l’hype dei fan. Romero valutò le reazioni del suo pubblico, e non gli parve tanto colpito quanto aveva sperato. Non capì il perché, fino a quando non fece una visita allo stand di Quake 2.

Il trailer del gioco di id si apre con la classica visuale in prima persona, il giocatore brandisce una pistola, l’ambiente ha un look dungeon-industrial che rimanda subito all’estetica del brand. Non si fa tempo a rendersi conto delle capacità dell’engine, del framerate già piuttosto fluido e della qualità grafica generale, quando la pistola esplode un colpo. La scia del proiettile si staglia come quella di una cometa, rivelando la chicca che cambiava le carte in tavola: dynamic lighting. Una favolosa scia colorata di giallo illuminava la stanza e nemici man mano che avanzava. Col primo Quake Carmack era riuscito a creare una sorta di illusione di illuminazione dinamica, ma si trattava di espedienti che cercavano di colmare un gap tecnologico all’epoca insormontabile. Id Tech 2 sfruttava le innovative possibilità offerte dagli acceleratori 3D, e il risultato era qualcosa che non si era mai visto prima. Romero capì all’istante che l’engine di Quake 2 gli sarebbe stato indispensabile. Daikatana non poteva basarsi su quello che in pochi minuti era diventato un engine obsoleto: ma secondo i patti sottoscritti con id, Ion Storm avrebbe potuto usufruire dell’engine solamente una volta che Quake 2 fosse stato disponibile sugli scaffali. Avrebbero dovuto finire il design di Daikatana basandosi sul motore che avevano, per poi convertire tutto sull’engine di Quake 2 dopo Natale. Era successo di nuovo: Romero doveva cambiare i suoi piani a causa della tecnologia di Carmack, il design era tornato a rivelarsi vittima del dispotismo tecnologico.

L’estate texana del 1997 si annunciava più calda che mai: Dallas era diventata ufficialmente la capitale del gaming su PC. Oltre alle superstar di id e Ion Storm, Scott Miller di Apogee (vecchia conoscenza dei due John dei tempi di Softdisk) lanciava nella mischia Duke Nukem 3D, dimostrando che nell’esplosivo settore FPS esisteva un fermento che trascendeva la produzione id. Il gioco fu un indiscutibile successo, e dava modo al giocatore di interagire con l’ambiente in modo più interessante e marcato rispetto a Quake: questo, unito al carisma del protagonista e al suo umorismo dissacrante, cominciava a far intendere che stava arrivando una serie di titoli ammazza-Quake. La concorrenza insomma cominciava a mostrare gli artigli, e all’orizzonte si stagliavano minacciosi Half-Life e Unreal. Sandy Petersen, dopo aver lasciato id Software, si appresta a lanciare con Ensemble Studios la pietra miliare Age of Empires, vero game changer degli RTS. Ma il fenomeno texano non si fermava a Dallas, perché ad Austin la gloriosa Origin, guidata da Richard Garriott, sfornava i capitoli della serie Ultima. Il gaming su PC era diventato trainante per l’andamento del settore, garantendone a questo punto la metà dei profitti (1,7 miliardi di dollari).

Il ritmo era incalzante, e in id persino militaresco: il 9 dicembre 1997, viene rilasciato Quake 2. Romero, dopo una maratona di due giorni in cui divora il gioco, ne tesse le lodi in un file .plan: “Oh my god. Quake 2 is the most impressive game I’ve ever played [Oh mio dio. Quake 2 è il gioco più incredibile a cui abbia mai giocato!]”. Difficile dire quanto il commento fosse esente da una certa componente di spirito di marketing, visto che id Tech 2 sarebbe stato l’engine del gioco che contava di pubblicare di lì a breve, ma sicuramente l’impatto di Quake 2 fu travolgente. Era a tutti gli effetti l’FPS definitivo, sebbene oggi il titolo non goda del fascino immortale del predecessore. Probabilmente perché lo valutiamo collocandolo nell’agone in cui di lì a pochi mesi si sarebbe confrontato, con Half-Life e Unreal forti di un’ambientazione e un gameplay più maturi e che ci avrebbero portati effettivamente in una fase nuova. Ma senza speculare troppo su quel che stava per venire, Quake 2 non fu altro che l’ennesimo successo messo a segno dalla id di Carmack, e a questo punto il prezioso source code dell’engine id Tech 2 poteva passare nelle mani di Ion Storm.

Agli occhi di Romero, era giunta l’ora di fondere il design definitivo con l’engine definitivo, per dare alla luce Daikatana. Ma dietro all’apparenza di questa svolta risolutiva, si nascondevano complicazioni che non aveva previsto: prima fra tutte, il codice stesso dell’engine. Il gap grafico tra Quake e Quake 2 è evidente, anche ai nostri occhi viziati da 4K e ray-tracing: purtroppo per Romero, tanta innovazione si pagava con un codice completamente diverso rispetto a quello di id Tech 1. Di conseguenza, la conversione del gargantuesco design di Daikatana si rivelò ben più complessa del previsto. In Ion Storm il clima era già teso, il malcontento si nutriva di una varietà di fattori: la pubblicità controversa di Daikatana era fonte di imbarazzo ed espressione di una mentalità non condivisa da tutti, Romero era sempre meno presente privando di direzionalità il team di ottanta persone che, ormai era evidente a tutti, non avrebbe mai potuto garantire l’uscita di Daikatana per il nuovo termine di marzo 1998. Non sarebbe stato possibile nemmeno mantenendo l’engine del primo Quake, possibilità peraltro caldeggiata da una parte del team ma osteggiata da Romero, che mai avrebbe accettato un compromesso tale. Intanto, l’RTS rilasciato da Ion Storm, Dominion, veniva eclissato dal successo di Starcraft, capolavoro di Blizzard. Un dipendente di Ion, in probabile burn-out, viene licenziato perché sorpreso mentre sta urlando ossessivamente contro lo schermo del PC.

In id Software le cose andavano meglio, ma l’azienda di Carmack non era certo un’oasi di serenità. Si era tornati a respirare un clima di deathmatch, non più però circoscritto all’agonismo fraterno di un LAN party, ma più simile ad un serrato confronto professionale, con i membri del team uno contro l’altro. American McGee, dopo i fasti dei tempi di Quake in cui con le sue mappe era divenuto il pupillo di Carmack, cominciava a rappresentare ai suoi occhi una sorta di nuovo Romero, pigro e con idee di design e gameplay che si discostano dalla visione del boss. Al suo posto era emersa la personalità di Tim Willits, e la competizione era accesissima: non si trattava solo di compiacere Carmack, ad ogni fine trimestre venivano assegnati importanti bonus sullo stipendio che incoraggiavano i membri del team a giocare d’astuzia per risultare sempre più competitivi. In tutto ciò Carmack sembrava tenersi fuori dal conflitto, detestando tutte quelle problematiche di carattere umano che pensava di aver risolto per sempre mettendo alla porta Romero: secondo McGee però, la sua abitudine di isolarsi nel proprio ufficio non faceva altro che incoraggiare il conflitto.

Il nuovo progetto di id Software, Quake 3 Arena, sembra proprio il più cristallino degli specchi su cui si riflettono tutte le animosità che dividevano l’azienda. L’ultimo motore grafico, Trinity, era un gioiello. Ma innovare il gameplay, magari con dei tratti più story-driven, era per Carmack fuori discussione: nonostante il malcontento strisciante, decide di dar vita ad un altro brutale FPS, in verità ancora più deathmatch-oriented in quanto la trama e l’esperienza single-player sparivano completamente in favore dell’arena. Effettivamente non c’era modo migliore per incanalare le divisioni e gli individualismi che caratterizzavano il team: ognuno avrebbe lavorato sulle singole mappe, e il nuovo spettacolare engine avrebbe fatto da collante. Ma questa crisi post-Romero sembrava confermare che una visione così Carmack-centrica non faceva bene ad id, e le parole di Paul Steed lo raccontano bene: “Romero rappresenta il caos e Carmack l’ordine. Insieme formavano il mix perfetto. Ma presi separatamente, cosa rimane?”8“Romero is chaos and Carmack is order. Together they made the ultimate mix. But when you take them away from each other, what’s left?”..

L’E3 del 1998 è una emblematica conferma di tutto quello che stava accadendo, con Unreal e Half-Life a scompaginare le carte e a far strabuzzare gli occhi al pubblico, Quake 3 Arena a testimoniare i progressi implacabili di id, e Daikatana in perenne inseguimento. La demo basata sull’engine di Quake 2, frutto di mesi di faticosa conversione, appariva già datata, e con l’uscita del gioco slittata al febbraio 1999, l’impero sognato da Romero scricchiolava come mai prima d’ora. Come se non bastasse, la stampa era venuta a conoscenza di tutti i problemi interni in Ion che avevano portato al lincenziamento di uno dei fondatori, Mike Wilson, oltre ai rumor che vedevano Eidos pronta a rilevare l’azienda. Nel mezzo della crisi e dei ritardi, il team principale di Daikatana si dimette, fondando Third Law Interactive (software house che avrà vita breve e diverrà nota unicamente per l’FPS basato sui Kiss). Tutte le criticità che avevano allontanato Romero da Carmack sembrano piombargli addosso con la rincorsa: la visione iperbolica dell’azienda, la mancanza di focus, le difficoltà di dirigere un team vasto. Il presidente di Eidos, publisher che continuava a sostenere spese esorbitanti (che avevano già superato i 13 milioni di dollari), ha poche semplici parole per Romero:

Shut up and finish the game.

“Questo fottuto fucile viene dritto da Doom!“9“That fucking shotgun is straight out of Doom!”.: sono le parole pronunciate in un video da uno dei due ragazzi che il 20 aprile 1999 si resero colpevoli della carneficina di Columbine. La strage nella high school in Colorado unì allo shock che sempre accompagna un evento di tale efferatezza la voglia di trovare un colpevole assoluto. E non ci fu nemmeno bisogno di salti mortali da parte dei media e dell’opinione pubblica, le parole “straight ouf of Doom” fornivano già più che il necessario. Le conseguenze sociali furono immediate, il presidente Clinton stesso si espose affermando che giochi come Doom rendevano il giocatore un “active partecipant in simulated violence [parte attiva nella violenza simulata]”. L’opinione pubblica prevedibilmente si divide, ma la parte più rumorosa di essa si fa sentire con manifestazioni e proteste, fino a minacciare chi quel gioco l’aveva ideato. La sede di id Software è sorvegliata dalla polizia, e a Carmack e Romero—nonostante sul tema avessero più di qualcosa da dire—viene suggerito di mantere un profilo basso.

Al di là delle infinite considerazioni possibili su un tema che mai finirà di essere al centro del confronto tra videogiochi e società, le conseguenze sulla storia che stiamo raccontando si fecero sentire. Un paio di mesi dopo Columbine, con la violenza degli FPS nel mirino dei media, all’E3 del 1999 stavano per essere presentati Soldier of Fortune e Kingpin (entrambi basati su id Tech 2). Il primo in particolare faceva del realismo con cui i colpi smembravano i corpi dei nemici il proprio cavallo di battaglia (grazie all’ormai celebre sistema GHOUL), e anche per quanto riguarda Kingpin—con la sua ambientazione realistica e dettagli truculenti—non si può dire che il tempismo fosse indovinato. Quantomeno furono presentati a porte chiuse, ma la pressione su sviluppatori e publisher era schiacciante. I giornalisti sciamavano intorno allo stand id a caccia di dichiarazioni su Columbine, venivano dirottati alle public relation di Activision, e ricevevano un no comment.

Futuri capolavori come Final Fantasy VIII e Diablo 2 alimentavano il sempre insaziabile circuito dell’hype, ma le star rimanevano gli FPS di Carmack e Romero. Quake 3 Arena era pronto per il lancio, mentre la demo di Daikatana era un video legnoso che non riusciva a mascherare le infinite difficoltà che stavano rendendo lo sviluppo del gioco un travaglio di proporzioni leggendarie. E dopo il successo di Half-Life e Unreal, non c’era più spazio per il retaggio delle dev-star in quanto tali: un FPS per avere successo doveva raccontare qualcosa di nuovo, oltre ad eccellere sul piano tecnico, con le schede video 3D ormai a disposizione di tutti i giocatori. Siamo alla resa dei conti, alla vigilia del lancio di Daikatana, che più di qualcuno considerava un flop annunciato, e di Quake 3 Arena, ennesimo shooter che faceva però del deathmatch online il proprio asso nella manica.

I file .plan di Carmack non avevano mai fatto segreto di come sarebbe stato il gameplay di Quake 3 Arena, e qualcuno aveva studiato e fatto i compiti a casa: due settimane prima del lancio del titolo id, esce Unreal Tournament. Epic Games, che si era già fatta valere con la maestosa esperienza single-player di Unreal, saliva ufficialmente sul ring insieme a Quake 3. Anzi, lo aveva addirittura anticipato! Come se non bastasse, mentre lo sviluppo di Quake 3 aveva risentito delle divisioni che abbiamo raccontato, Unreal Tournament si presentava come una versione migliorata dell’ultima fatica di Carmack: oltre alla modalità deathmatch tout-court, c’era quella a squadre, nonché il capture the flag che, ironicamente, era stata la peculiarità della più famosa mod di Quake, ovvero Team Fortress. A completare il pacchetto del primo vero Quake-killer c’erano le modalità Assalto e Dominio, con cui Epic aveva intelligentemente farcito la sostanziale piattezza di un titolo deathmatch only con gameplay alternativi e molto ispirati. Per colmare il gap sarebbe di lì a poco uscita l’espansione Quake 3: Team Arena, ma ad oggi non sono in pochi a ricordare Unreal Tournament come il vero vincitore di quell’imprevista schermaglia.

Ciò detto, Quake 3 Arena non spezzò il leit motiv del nostro racconto, e fu giustamente premiato da pubblico e critica. A ben vedere, la competizione con Unreal Tournament e la conseguente nascita di un nuovo genere potrebbe addirittura aver giovato al successo dell’ultimo Quake: se le esperienze single-player sempre più sofisticate avevano affinato il gusto dei giocatori, i due titoli votati al multiplayer andavano a posizionarsi su un altro campo da gioco, rendendo il confronto con la concorrenza futile o quantomeno poco sensato. Di nuovo, id aveva scritto la storia degli shooter in prima persona, questa volta a braccetto con un avversario che poteva fregiarsi del titolo di Quake-killer.

Arriviamo così al 21 aprile 2000, data d’uscita di Daikatana, uno dei giochi più rimandati della storia. Viene da associarlo ai fenomeni in cui il titolo non arriva mai e quando arriva è una delusione, come Duke Nukem Forever. Sarebbe inutile credere che arrivati a questo punto dell’articolo, anche al netto di quel che già sapete di Daikatana, possiate nutrire dubbi sulle proporzioni del flop di Romero. Fu un fiasco totale. Gaming Computer World scrive: “Yep, it stinks. [Sì, fa schifo.]”; PC Gamer: “Daikatana signals nothing more remarkable than the end of an era in fandom. [Daikatana non significa niente più che la fine di un’era del fandom.]”

Forse ancora più significative sono le parole che Romero sceglie per annunciare il lieto evento: «Mio dio, è davvero finito. E io che pensavo che fosse tanto lavorare su un gioco un anno e mezzo… wow. Mi auguro che tutti diano un giudizio sereno e obiettivo sul gioco, e non fondino le proprie critiche sull’hype, ma sul valore del gioco e su ciò che abbiamo voluto realizzare: un’esperienza single-player divertentissima. […] Non abbiamo sviluppato Daikatana per battere Quake 3»10«My god, it’s actually finished. And I thougt working on a game 1.5 years was long… wow. I wish everyone would take a nice, objective look at the game and not base their criticism on hype, but on play value and what we’ve worked to achieve: a really fun single-player experience. […] We did not develop Daikatana to take on Quake 3».. Sembra essere sceso dall’altare della rockstar, deprecando quella stessa cultura dell’hype su cui aveva soffiato fino ad allora, nonché ponendosi a distanza di sicurezza dal successo di Quake 3. Sarebbe difficile immaginare un modo di comunicare più diverso da quello della pubblicità di Daikatana. E andrebbe anche benissimo, se non fosse che—magari anche a causa dei bias con cui leggiamo la citazione—è palese il suo tentativo di arginare il malcontento, di preparare il campo per un gioco che nessuno poteva pensare fosse adatto al pubblico del 2000. Tantomeno poteva pensarlo John Romero, colui che con Doom aveva definito le basi stesse dei gusti del pubblico.

Ciononostante afferma che Daikatana merita, se lo si gioca davvero. Peccato che pochi giocatori ebbero l’ardire di superare i primi livelli, tormentati dalle ormai famigerate zanzare e dalle rane robot che infestano le iniziali e tediosissime fasi del gioco: sembra impossibile che la figura dietro a Doom e Quake possa aver frainteso con tanta pervicacia i principi base di un gameplay vincente. Eidos, che aveva da qualche tempo rilevato il 51% di Ion dopo aver perso decine di milioni di dollari, traballa di fronte al disastro del suo titolo di punta, ma ha una solida stampella: a giugno esce Deus Ex, e il successo è travolgente. L’FPS cyberpunk con elementi GDR vincerà il premio GOTY, e il suo ideatore Warren Spector vede premiata la passione e l’approccio con cui aveva caratterizzato la sua presenza in Ion.

Di formazione accademico-letteraria, aveva preso le distanze dagli eccessi della Ion più vicina a Romero: «We’re going to be the classy part of this company [Saremo la parte raffinata di quest’azienda]». Romero interpreta in modo curioso, o forse astuto, il successo di Deus Ex, vedendolo come prova del fatto che la sua filosofia fosse vincente: grazie alla struttura che aveva imposto ad Ion, con più team al lavoro su più giochi, avevano conseguito il successo di Warren Spector. Viene però a sapere che dopo l’uscita di Anachronox (GDR di un certo fascino sviluppato da Tom Hall), Eidos avrebbe alleggerito radicalmente l’organico di Ion, ad eccezione del solo team di Warren Spector. Romero, tramontate le ultime speranze di non sprofondare insieme a Daikatana (sulla cui confezione campeggiava il suo nome a imperitura memoria del colossale fiasco), lascia l’azienda.

A questo punto, godendo della nostra posizione di osservatori onniscenti, possiamo permetterci di valutare come dopo questa catarsi i tempi sembrino dilatarsi. Carmack e Romero erano lassù, nella stratosfera, e se nel lancio dello Space Shuttle una parte del velivolo si sgancia tragicamente dal corpo principale per piombare sulla Terra, verrebbe da completare la similitudine attribuendo ad esso l’identità di Romero. E non sarebbe un punto di vista che si allontana molto dalla realtà, ma suona così cinico che nessun appassionato si sentirebbe di sottoscriverlo senza sentire un nodo alla gola. Preferisco far seguire al volo nello spazio un riferimento alla passione che travolge in quegli anni Carmack, che con la sua Armadillo Aerospace realizza fisicamente razzi, con l’obiettivo di mandare un velivolo in orbita. Il progetto viene accantonato nel 2013, ma ci fornisce un ultimo elemento per studiare gli eventi che stiamo ricostruendo. Id Software stava sviluppando Doom 3, il 3D accelerava la sua corsa verso il fotorealismo, e per Carmack la ricerca dell’engine perfetto aveva perso fascino: si trattava ormai di affinare tecniche che, di fondo, erano ormai consolidate.

Lo spazio era per lui il nuovo obiettivo, e il nuovo limite—un tempo rappresentato dai limiti dell’hardware dei PC—la gravità. Lui e Romero avevano però già lanciato in orbita un razzo, quello degli FPS così come li conosciamo oggi, e l’avevano fatto insieme. Segnarono un’epoca che è ancora bello e significativo ricordare, e se c’è una lezione che resterà al di là del drama e dei conflitti, trasuda da queste parole di John Carmack: «Nell’era dell’informazione le barriere semplicemente non esistono, sono auto-imposte. Se vuoi partire con lo sviluppo di qualcosa di grande, di nuovo, non ti servono milioni di dollari di capitalizzazione. Ti basta avere abbastanza pizza e diet-coke da riempire il frigorifero, un pc economico su cui lavorare, e la dedizione per andare fino in fondo. Abbiamo dormito per terra. Abbiamo guadato fiumi»11«In the information age, the barriers just aren’t there, they are self-imposed. If you want to set off and go develop some grand new thing, you don’t need millions of dollars of capitalization. You need enough pizza and diet-coke to stick in your refrigerator, a cheap PC to work on, and the dedication to go through with it. We slept on the floors. We waded across rivers»..