Meta ma non troppo

Come rompere la quarta parete nei videogiochi.

Il termine deriva dal teatro: l’idea è che, oltre alle tre pareti del palcoscenico, ci sia una quarta parete immaginaria attraverso cui il pubblico può vedere, ma gli attori no. Quindi, quando un attore rompe la quarta parete, avviene qualcosa di inaspettato: una constatazione dell’artificio della situazione, un riconoscimento del fatto che si dà vita a uno spettacolo, in un teatro, e si parla a un pubblico. Si assiste a un’improvvisa dissoluzione della sospensione dell’incredulità.

I videogiochi hanno infranto la quarta parete quasi dal giorno in cui sono stati inventati. Ogni volta che suggerisce di “premere A per saltare” o qualcosa di simile, un videogioco riconosce lo spazio esterno al mondo di gioco, rompendo l’illusione. Ma alcuni titoli si spingono oltre, dando vita ad alcuni dei momenti più memorabili nella storia dei videogiochi.

«Mi è sempre rimasto impresso Arkham Asylum», dice Dan Marshall di Size Five Games. «Ti viene spruzzato il gas dello Spaventapasseri, poi il gioco fa finta di bloccarsi e riparte l’introduzione. Il cuore si ferma, è orribile, ma quando l’introduzione ricomincia è leggermente diversa e questo ti fa capire che è intenzionale. È una cosa che mi è sempre rimasta impressa». A Eliza Velasquez, che ha programmato OneShot, è rimasto invece impresso il gioco horror indie IMSCARED: A Pixelated Nightmare. «È un titolo horror molto semplice, ma faceva questa cosa, ovvero che, dopo aver finito di giocare, un minuto dopo ti faceva fare un salto per lo spavento di fronte al tuo desktop, e questo è davvero un colpo basso, ma ho pensato fosse piuttosto fico», dice. Mentre Nightmargin, che ha curato la grafica di OneShot, ricorda un gioco chiamato Hello Penguin. «Fa delle cose molto strane con il tuo computer», racconta, «e mi limito a dire questo».

Che si tratti del riconoscimento delle terribili scelte di giocatori e giocatrici da parte di Undertale o degli sfacciati trucchi narrativi della serie Metal Gear, tutti noi abbiamo i nostri momenti preferiti in cui si rompe la quarta parete. Ma cosa li rende così belli?

«Tra le cose che ci hanno influenzato di più ci sono i vecchi giochi LucasArts e tutti vecchi giochi di avventura punta e clicca: era sempre sottilissima la linea che divideva mondo di gioco e mondo reale», dice Marshall, che ha creato insieme a Ben Ward il platform/punta e clicca Lair of the Clockwork God. Per lui, il bello della rottura della quarta parete è che riconosce la presenza di un essere umano che tira le fila dietro le quinte. «Come in Sam & Max Hit the Road, dove c’era una battuta che mi è sempre rimasta impressa, quando si prende il grosso pezzo di spago e lui dice qualcosa tipo: “In giochi come questo serve sempre un lungo pezzo di corda”», ricorda Marshall. «Mi piace quando i giochi fanno cose del genere: ti fa sentire che gli sviluppatori si sono ricordati di te, che c’è un collegamento diretto».

Secondo Marshall la rottura della quarta parete funziona particolarmente bene nei giochi di sviluppatori indie o di game designer enigmatici come Tim Schafer, persone che i giocatori hanno la sensazione di conoscere già attraverso i social media o seguendo il loro lavoro. «Si ha una vaga e strana connessione con lo sviluppatore, e credo sia questo il motivo per cui la quarta parete funziona benissimo per me, perché si ha la sensazione di un legame, come se fosse stato fatto apposta per me», spiega. «Crea un legame tra il giocatore e lo sviluppatore: si trovano entrambi nelle stesse battute».

The Procession to Calvary (Joe Richardson, 2020)

Le battute che rompono la quarta parete sono spesso le più divertenti e memorabili, semplicemente perché sono inaspettate. Joe Richardson, designer dell’avventura punta e clicca The Procession to Calvary, afferma che queste gag tendono a evolversi naturalmente piuttosto che essere pianificate in anticipo. In Calvary, un gioco cucito su una serie di opere d’arte rinascimentali, le frasi di Dio che rompono la quarta parete sono nate per caso. «Stavo cercando di creare una scena del paradiso», racconta Richardson, «e quindi cercavo dipinti con nuvole e persone che se la godono, o altro, ma non trovavo molto. Ma avevo questo Dio, avevo i cherubini, mi piacevano e volevo inserirli da qualche parte. Ho provato a costruire una scena con Dio e i cherubini, ma non sono riuscito a riempire tutto lo schermo, perché non avevo abbastanza opere d’arte».

Dio ha finito per fungere da controfigura dello stesso Richardson, offrendo battute e scuse sulla realizzazione del gioco. A un certo punto, i cherubini iniziano a prendere in giro Dio per la qualità dell’animazione. «Mi capita spesso di scrivere pezzi del genere, ma poi non sono divertenti e quindi non vengono inseriti», dice Richardson. «Ma volevo a tutti i costi mantenere il riferimento a Macromedia Flash MX, per ricordare i bei tempi di una volta».

Le battute che rompono la quarta parete in Lair of the Clockwork God sono arrivate attraverso un processo altrettanto organico. «Quello che succede durante lo sviluppo è che io e Ben andiamo al pub e le cose che ci fanno ridere finiscono nel gioco», dice Marshall. «E [una certa cosa] è stata una di quelle che ci hanno fatto ridere, e ci siamo detti: “È divertente, è interessante, è unica, farebbe vendere il gioco—perché la gente direbbe: ‘devi giocarlo amico, non posso dirti perché, ma devi giocarlo’”».

Avrete notato una chiara censura, perché il problema delle rotture della quarta parete è che perdono il loro impatto se si sa che stanno per arrivare. In Lair of the Clockwork God ci sono alcuni tentativi di infrangere la quarta parete, ma uno in particolare è fenomenale e Marshall desidera preservarne il mistero per i giocatori che non l’hanno ancora sperimentato. «Quando il gioco è uscito, e c’era un sacco di gente che faceva i Let’s Play su YouTube, saltavo alla parte in cui scoprivano [una certa cosa] e li guardavo scoppiare in lacrime dalle risate», dice con un sorriso.

La sorpresa è la chiave del successo della rottura della quarta parete: che generi paura, shock o risate. O, addirittura, tutte queste cose insieme, come quando Marshall fece un gioco per la sua ragazza quando era adolescente. «Nel bel mezzo del gioco, l’ho fatto diventare nero, ho fatto apparire il font DOS e ho scritto che stava formattando l’hard disk. L’ho guardata mentre ci giocava e si è spaventata, per poi scoppiare a ridere quando ha capito», dice ridendo. «Guardare la sua reazione… è stata una di quelle cose che mi ha lasciato la voglia di implementare di più questo tipo di soluzioni».

D’altronde, quando si tratta di rompere la quarta parete, di solito meno è meglio. «È qualcosa con cui credo si debba essere parsimoniosi», afferma Richardson. C’è un punto in cui uno dei personaggi del suo gioco inizia a parlare dei caratteri dei dialoghi. «Una delle ragioni per cui è divertente è che è così sorprendente vederlo accadere», spiega Richardson. «Anche facendolo due volte, la seconda volta… non ti coglie di sorpresa». In effetti, Richardson aveva preso in considerazione altre rotture della quarta parete per The Procession to Calvary, ma si è trattenuto per non diminuire l’impatto delle altre.

Lair of the Clockwork God (Size Five Games, 2020)

Marshall concorda sul fatto che è importante evitare di farlo troppo spesso. «Siamo stati abbastanza attenti con Clockwork God», dice. «Credo di essere uno scrittore peggiore di Ben. Sospetto che ne abbia tolte un bel po’ quando ha fatto la sua revisione. È come qualsiasi barzelletta: è divertente la prima volta, e lo è un po’ la seconda, e poi alla terza non lo è affatto». Richardson pensa che in alcuni giochi sia meglio non farlo affatto, e cita il gioco poliziesco Paradise Killer. «È uno di quei titoli in cui non avrei rotto la quarta parete, perché mi ero abbastanza immerso nel suo mondo», dice. «Secondo me nei giochi punta e clicca funziona perché sono titoli in cui non c’è immersione: il mondo è in 2D e l’interfaccia è in bella evidenza».

C’è anche il timore che la rottura della quarta parete possa non suscitare la reazione desiderata, o possa non essere proprio capita. «Uno dei miei giochi preferiti è The Sea Will Claim Everything», racconta Richardson. «È un gioco punta e clicca molto scritto e ha, credo, una sola rottura della quarta parete, e mi ha lasciato perplesso. Mi sono bloccato e ho dovuto consultare una guida. Quando ho visto che la risposta era che si trattava di una rottura della quarta parete, mi sono molto, molto irritato. Non perché non mi piacesse, ma perché non l’avevo capita». Le gag che rompono la quarta parete possono richiedere un elemento di sorpresa, ma se le soluzioni degli enigmi si basano su uno sguardo esterno al mondo di gioco, il giocatore deve essere preparato, deve poterselo aspettare. Marshall è stato attento a preparare i giocatori in Clockwork God: la schermata iniziale li bombarda con una sequenza apparentemente infinita di loghi aziendali inventati. «L’ultimo si chiama Setsa Tone Foundation, perché è quello che fa», dice. «Fa sì che le persone, fin dall’inizio, pensino che accadranno cose inaspettate».

La grande gioia di rompere la quarta parete è che permette enormi salti di immaginazione e esplosioni di originalità. «Abbiamo creato appositamente delle cose che giocano con le aspettative di chi gioca», dice Marshall. «E abbiamo fatto cose che mettono in discussione ciò che un gioco può fare. Mettere la soluzione di un enigma in un gioco completamente diverso credo sia fantastico». Si riferisce a Devil’s Kiss, una visual novel che accompagna Lair of the Clockwork God ed è fondamentale per completare una particolare sequenza.

In origine però voleva andare oltre. «Ci sarebbe stato un enigma opzionale, in cui c’era una porta per aprire la quale era necessario un codice», dice. «Volevo chiedere ad amici sviluppatori di inserire una grafica nel loro gioco da qualche parte». L’idea sarebbe stata quella di giocare ai giochi di questi altri sviluppatori per cercare i codici nascosti nelle immagini e poi metterli insieme per sbloccare la porta. Alla fine Marshall ha scartato l’idea, ma ha mantenuto la porta, che si apre sbloccando tutti gli achievement del gioco e risolvendo un puzzle basato sulle immagini di ciascuno di essi.

Richardson pensa che ad alcune persone non piaccia la rottura della quarta parete in generale. «A prescindere da quanto sia coerente con il gioco, da quale sia il livello di immersione, sono contrari per principio, per un qualsiasi motivo», dice. «Suppongo che sia un dibattito che la gente ama fare: qual è la tua posizione sulla rottura della quarta parete? Penso che si debba andare da una parte o dall’altra. Si può spingere in quella direzione, come in Clockwork God, oppure si può essere un po’ più sottili».

In OneShot, l’intera premessa del gioco si basa sulla rottura della quarta parete. All’inizio dello sviluppo, Velasquez ha deciso di rendere il giocatore parte integrante del mondo di gioco. «E se tu e il tuo personaggio foste due persone diverse e vi parlaste?», ricorda di aver pensato. “Poi tutto è nato da lì, per quanto riguarda il comportamento di Nico come personaggio. Volevamo una persona che fosse molto simpatica. Doveva piacere e doveva venire voglia di proteggerla».

Un articolo apparso su
Wireframe #66
Tradotto da
Gilles Nicoli
Data della pubblicazione originale
1 settembre 2022
All’inizio di OneShot, c’è un momento in cui Nico si accorge della presenza di chi gioca, e la interpreta come una sorta di divinità che controlla gli eventi. Questo viene rafforzato dai messaggi inviati dal gioco al computer sotto forma di finestre di dialogo e, in seguito, da altri eventi esterni al gioco—che non sveleremo in questa sede; ma la trama è incentrata sull’idea che il mondo di gioco esista solo sul computer di chi gioca e solamente quando il gioco è in esecuzione. Infatti, nella versione iniziale del 2014, chiudere il gioco senza salvare aveva conseguenze terribili. «Nella versione originale, se si chiudeva il gioco senza andare a letto, Nico moriva», ricorda Velasquez. «Me ne sono un po’ pentito, perché era estremo».

Lungi dal diminuire l’immersione, le rotture della quarta parete di OneShot la aumentano, invitando chi gioca a interessarsi profondamente al mondo di gioco. «Una cosa su cui volevo davvero insistere per OneShot è che la rottura della quarta parete non è qualcosa di unico o speciale», dice Nightmargin. «Tale approccio molto casuale rende speciale il gioco, ironicamente, proprio nella misura in cui la rottura della quarta non viene trattata come qualcosa di speciale». Gli sviluppatori volevano anche evitare di usarla per spaventare il giocatore, come in giochi horror come IMSCARED. «Volevamo far capire che la rottura della quarta parete non è qui per farvi del male, ma per esservi amica, anche se a volte può spaventarvi. Infonde nel giocatore un senso di responsabilità, il che è perfetto perché vogliamo che chi gioca si senta responsabile nei confronti di Nico, ma anche del mondo stesso».

Un problema, tuttavia, è che le rotture della quarta parete in OneShot sono intimamente legate alle funzioni di un PC, il che ha causato problemi allo sviluppatore Michael Shirt mentre preparava il gioco per l’uscita su console. «L’idea che abbiamo scelto alla fine è stata quella di creare un desktop finto», racconta Shirt. «In questo modo tutto ciò che accade sul PC nel gioco normale avviene in quell’ambiente». Purtroppo non era possibile fare nulla di strano con la console al di là del gioco stesso: «I produttori non permettono di giocare con i file e cose del genere», si lamenta.

In definitiva, i videogiochi sono il mezzo perfetto per rompere la quarta parete grazie alla loro natura interattiva e all’intimo legame tra il giocatore e ciò che accade sullo schermo. Il concetto stesso di OneShot non funzionerebbe in nessun altro modo. «È qualcosa che si può fare solo in un videogioco, il che credo sia davvero unico», dice Velasquez. «Un’opera teatrale o un film possono rompere la quarta parete, ma sono molto limitati in ciò che è effettivamente possibile fare».

Richardson, da parte sua, ha intenzione di aumentare le rotture della quarta parete nel suo prossimo gioco, Death of the Reprobate. Infatti, Dio (vale a dire Richardson) apparirà in quasi tutte le scene. «Ho un mondo in cui si va in giro alla ricerca di buone azioni da compiere», racconta Richardson. «Quindi volevo avere una sorta di indicatore sulle persone che danno le missioni». Non voleva aggiungere un elemento dell’interfaccia utente troppo invasivo, e inizialmente aveva pensato di contrassegnare i personaggi con una nuvola, con sopra una faccia triste. «Ma questa nuvola aveva un aspetto orribile, così ho deciso di inserire Dio», dice.

«Ora questi personaggi hanno una grande freccia rossa dipinta su un pezzo di legno che pende sopra la loro testa. Dio si nasconde sullo sfondo con una canna da pesca, che regge l’indicatore». All’inizio del gioco, il giocatore domanda come trovare le persone bisognose d’aiuto. E gli viene risposto: “Il Signore ti guiderà”», ride Richardson. «E poi arriva la scena successiva, con Dio lì a regge l’indicatore; e poi magari, alla fine del gioco, si potrebbe scoprire che non era Dio, ma solo un tizio qualunque. “Hai seguito Derek? Derek vestito da Dio? Intendevo dire che Dio ti guiderà spiritualmente, stupido!”».