Lo stile unico di Amanita Design

Lo studio di Praga si è costruito un'identità inconfondibile.

Con le sue torri, le sue guglie e i suoi campanili, Praga è una delle città più belle e più romantiche d’Europa. Ma per quanto la capitale della Repubblica Ceca possa essere pittoresca, Jakub Dvorský, cittadino di Praga e fondatore di Amanita Design, vede la bellezza altrove. È affascinato dall’architettura classica quanto dai vecchi macchinari arrugginiti e dai fabbricati industriali abbandonati, e passa parecchio tempo nelle foreste fuori città insieme alla sua famiglia. «Un senso di libertà è vitale per me», ci racconta prendendosi una pausa dalla lavorazione di Happy Game, il prossimo gioco dello studio. Ed è proprio un senso di libertà creativa a stare alla base del successo dello studio negli ultimi 17 anni.

Da Samorost a Machinarium, da Botanicula a Chuchel, i giochi di Amanita Design sono una combinazione progettata con cura di elementi naturali, industriali e persino surreali. La dedizione dello studio è tale che i giochi non vengono pubblicati finché non vengono considerati il più perfetti possibile. I giochi di Amanita Design sono principalmente avventure punta-e-clicca e hanno in comune uno stile incantevole, sia per quanto riguarda la grafica che il sonoro; ma sfidano anche molte delle convenzioni del genere, conducendo i giocatori in viaggi privi di testo in cui si lascia che i mondi di gioco e i pensieri dei loro piccoli personaggi parlino da soli.

Happy Game, d’altro canto, porterà lo studio in un territorio leggermente meno family-friendly. Annunciato lo scorso dicembre durante l’Indie World Showcase di Nintendo, Happy Game è molto meno allegro di quanto il titolo faccia pensare. «Sarà l’ultimo gioco di Jára Plachý», afferma Dvorský riferendosi allo sviluppatore con cui ha lavorato per più di un decennio. «Questa volta ha creato qualcosa di molto più cupo—davvero non sappiamo cosa accada in quella sua testa matta. Jára non pianifica, non rimugina troppo sulle cose; semplicemente crea. Noi lo incoraggiamo a fare così e lo aiutiamo a realizzare la sua visione, non importa se sia allegra e gioiosa oppure spaventosa e disturbante».

Happy Game uscirà nel corso di questa primavera, e ha richiesto una completa attenzione da parte dello studio—«sono abbastanza indaffarato in questi giorni», spiega Dvorský—ma è comunque un periodo entusiasmante per Amanita Design. Anche Phonopolis è in lavorazione: un puzzle game progettato da una squadra di tre persone che usa modelli di carta fatti a mano prima fotografati e poi trasformati in oggetti animati tridimensionali. «Phonopolis sta venendo sviluppato da una nuova squadra che ha portato un altro stile grafico nel nostro studio», dice Dvorský. «Ma è troppo presto per parlare ulteriormente di questo gioco. Necessita ancora di un sacco di lavoro, e non lo abbiamo nemmeno annunciato ufficialmente».

Happy Game (Fonte: Amanita Design)

Questi giochi fanno parte di una continua evoluzione artistica nella quale ben poco viene stabilito in anticipo. Se un’idea sembra grandiosa, o se Dvorský incontra un team che sta producendo qualcosa di speciale, dà subito il via libera o fa una proposta per collaborare. Scoprire dove questa strada porterà tutti quanti fa parte del divertimento. Questo modo di lavorare in base all’ispirazione artistica deriva in parte dalla madre di Dvorský, che che era una regista, e dal padre illustratore. «I miei genitori mi hanno insegnato molto, anche se non direttamente», racconta Dvorský. «Non mi hanno mai trasmesso doti artistiche né mi hanno mai spinto in una direzione precisa. Ero libero di fare ciò che mi sentivo di fare».

Dvorský è cresciuto in una famiglia insolita, almeno per gli standard della vecchia Repubblica Ceca. «Erano entrambi freelancer, anche nella Cecoslovacchia comunista in cui lo stato era il datore di lavoro del 99% degli occupati, ed era raro», racconta il 42enne. «Sentivo che sarebbe stata anche la mia strada. Sapevo di essere inadatto a una normale occupazione». La carriera di Dvorský come autore di giochi iniziò quando aveva 15 anni. «All’inizio ho lavorato come animatore, aiutando degli amici con la loro avventura punta-e-clicca», ricorda riferendosi al tempo trascorso nello studio indipendente NoSense. «Un anno o due più tardi ero già un game designer al lavoro su un proprio progetto, una combinazione tra un dungeon crawler e un’avventura con una grafica per metà disegnata a mano e per metà in 3D pre-renderizzato».

Quel gioco era Asmodeus: Tajemný kraj Ruthaniolu, che Dvorský sviluppò con Marek Floryán. Aveva messo insieme i generi e gli stili che gli piacevano all’epoca «e, sorprendentemente, funzionava», racconta. Nonostante ciò, ci vollero tre anni perché il gioco fosse pronto a uscire nel 1997, perché i due non riuscivano ad accordarsi su un genere. Ad ogni modo questo modo libero di pensare avrebbe presto definito l’approccio di Dvorský a questo mestiere. «Ero un giocatore da bambino, ma mai un giocatore accanito», dice. «Ho iniziato con i giochi a 8-bit ma mi appassionai davvero solamente in seguito, con i primi PC, le avventure grafiche e i dungeon crawler. Leggevo molti libri di fantascienza, ascoltavo dischi death metal, disegnavo mappe e strani castelli, e andavo a fare campeggio nella natura. Ero un adolescente dark e sentimentale abbastanza tipico, direi».

Quando Dvorský ha iniziato a creare videogiochi lo ha fatto in un contesto molto diverso rispetto a quello dei suoi genitori, e a questo riguardo è stato molto fortunato, ammette. La rivoluzione di velluto nel 1989 riportò in maniera non violenta la Cecoslovacchia a essere una democrazia liberale, mettendo fine a 41 anni di Partito Comunista come unica scelta. Quattro anni più tardi, il paese si divise pacificamente in Repubblica Ceca e Slovacchia. «Era un periodo euforico e pieno di speranza, e sono contento di averlo potuto vivere e di averne fatto parte», dice Dvorský. «L’atmosfera è molto più cupa oggi; il nostro attuale primo ministro è un ex membro della polizia segreta del regime comunista, e la società è lacerata, divisa e piena d’odio. È stato un ottimo periodo per crescere e per creare, questo è sicuro».

Un articolo apparso su
Wireframe #47
Tradotto da
Gilles Nicoli
Data della pubblicazione originale
4 febbraio 2021
Nel 1997 Dvorský ha studiato Animation Film alla Academy of Arts, Architecture and Design di Praga. Per la sua tesi iniziò a lavorare a un gioco intitolato Samorost. «Volevo creare un progetto interattivo sperimentale o un sito web usando collage di foto realizzati con Photoshop e semplici animazioni prodotte in Flash», ricorda. «Mi sono affidato molto all’intuizione, e solamente alla fine dello sviluppo mi sono reso conto di aver fatto un videogioco. L’ho pubblicato sul web in modo da renderlo facilmente accessibile ai professori e ad alcuni miei amici. Poi è diventato virale». Samorost era un gioco breve e stravagante, e Dvorský si prese una B come voto. Disponibile gratuitamente, permetteva al giocatore di controllare uno gnomo spaziale che viveva su un asteroide coperto di muschio, simile a un ciocco di legno (“samorost” è la parola ceca con cui si indicano gli oggetti creati a partire da quel materiale).

Cliccando in giro i giocatori potevano seguire una storia in cui lo gnomo visitava diversi pianeti usando una vecchia astronave arrugginita e risolvendo dei rompicapo. Il particolare stile artistico e la musica onirica contribuivano a creare un’esperienza sperimentale e quasi meditativa, in cui non veniva offerta nessuna indicazione e il giocatore poteva solo formulare ipotesi, ma che era gratificante da giocare. Essendo uno dei pochi a partecipare al corso per usare i computer per l’animazione, Dvorský animò molte discussioni sul videogioco come medium artistico. «Flash è stato uno strumento pressoché perfetto per la creazione di Samorost, perché mi ha permesso di fare tre cose diverse con un unico software», spiega Dvorský. «Ho potuto sia realizzare animazioni vettoriali e disegnate a mano ritagliando le sagome, sia implementare interazioni che richiedevano solamente competenze di programmazione basilari, sia pubblicare il risultato sul web, dove si poteva giocare direttamente senza necessità di download o di installazione. Assolutamente magico!».

Il successo di Samorost ha portato Dvorský a fondare Amanita Design nel 2003 e a iniziare a lavorare su un sequel. Nel frattempo ha guadagnato qualcosa sviluppando giochi web per la Nike e per la rock band americana The Polyphonic Spree—progetti paralleli che gli davano sia entrate economiche sia libertà di sperimentare. Come per il primo gioco, Dvorský ha creato gli sfondi di Samorost 2 fotografando muschi e funghi. Le premesse e il gameplay rimasero in sostanza uguali, e il sequel conservò l’aspetto organico e arrugginito del titolo originale. Questa volta, però, Dvorský ingaggiò alcuni aiutanti. Tomáš Dvořák, che aveva lavorato con Dvorský alla NoSense, compose la musica, mentre un altro Tomáš Dvořák produsse gli effetti sonori. Václav Blín, che Dvorský aveva conosciuto all’università, diede una mano con il design e l’animazione.

«Samorost 2 è stato il nostro primo tentativo di creare un progetto indipendente e di guadagnare qualcosa in modo da non aver bisogno di realizzare lavori su commissione come Rocketman per Nike. Per fortuna ha funzionato, e abbiamo potuto proseguire in quella direzione e sviluppare Machinarium». A quel punto lo studio iniziava a evolversi: non era più incentrato sulla figura di Dvorský e somigliava di più a un collettivo. «Mi piace collaborare con persone dotate di talento che siano anche delle belle persone, in modo da poter non solo lavorare insieme ma anche fare amicizia», afferma Dvorský a proposito delle assunzioni e della costruzione dello studio. «Naturalmente stavo raccogliendo persone dalla mia bolla sociale per lavorare ai giochi di Amanita Design».

Machinarium (Fonte: Amanita Design)

Machinarium ha richiesto tre anni di sviluppo ed è stato il primo vero gioco dello studio. I giocatori si mettono nei panni di un droide di latta chiamato Josef—il riferimento è a Josef Čapek, il primo a coniare il termine robot—e provano a risolvere una serie di puzzle che più tardi nel gioco si fanno sofisticati e difficilissimi. «Onestamente, ricordo a malapena che abbiamo fatto questo gioco, è passato così tanto tempo», dice ridendo Dvorský. «Ricordo però che abbiamo fatto molti errori nel corso dello sviluppo—non abbiamo realizzato nessun prototipo e abbiamo fatto pochissimi playtest con le prime build. In linea generale abbiamo semplicemente sperato che il design di partenza fosse abbastanza buono. Siamo andati avanti e abbiamo creato tutti gli elaborati asset grafici e li abbiamo resi funzionali, ma questo approccio intuitivo e naïve alla fine ha funzionato bene».

Coloro che hanno lavorato a Machinarium hanno ricevuto una piccola retribuzione. «Abbiamo speso molto poco all’epoca perché tutti provavano a guadagnarsi da vivere con altri lavori», ricorda Dvorský, aggiungendo che il team lavorava prevalentemente da casa e solo occasionalmente si riuniva in un piccolo appartamento di Praga. «Lo studio ha sostenuto poche persone, con pochi soldi. L’intera squadra credeva in un futuro successo e sentiva che si sarebbe potuta rifare con le proprie quote sui proventi».

Machinarium diede loro ragione, vincendo il premio Excellence in Visual Art all’Indipendent Games Festival del 2009 e vendendo oltre quattro milioni di copie. Ci furono tuttavia problemi di pirateria. Amanita Design comunicò che appena il 5% dei giocatori aveva pagato per giocare Machinarium, e questo avrebbe potuto avere un impatto sui futuri progetti. Lo studio invece andò avanti con il titolo successivo, Botanicula, uscito nel 2012. Il gioco venne affidato a Plachý, che aveva esperienze passate nel cinema d’animazione.

Inizialmente la sua intenzione era di far scegliere al giocatore uno tra due percorsi per determinare come sarebbe proseguito il gioco, ma Dvorský lo spinse a trasformare il progetto in un’avventura punta-e-clicca. In opposizione alla complessità di Machinarium, l’intenzione era quella di realizzare un gioco più accessibile, pieno di personaggi strani, collezionabili, e animazioni divertenti che incoraggiassero il giocatore all’esplorazione. «Stavamo ancora imparando, soprattutto per quanto riguarda il game design e la rifinitura del gameplay», dice Dvorský.

Samorost 3 (Fonte: Amanita Design)

Mentre la maggior parte degli studi si espande quando i giochi vendono bene, e assume altro personale, Amanita Design ha seguito l’indirizzo contrario. Samorost 3, un gioco sviluppato nel corso di cinque anni, è stato realizzato solamente da sei persone; ha anche utilizzato una piattaforma antiquata come Flash per le animazioni, nonostante alcune modifiche per un’elaborazione esterna mediante script e altri strumenti. Con Samorost 3 e i giochi successivi, l’obiettivo di Amanita Design è stato quello di realizzare mondi vivi e in continua evoluzione con cui i giocatori avrebbero voluto continuare a interagire a lungo. Sotto questo aspetto, divenne importante vedere i giocatori finire ciò che avevano iniziato, perciò quando Plachý sviluppò l’allegra avventura comica Chuchel, lo scopo era incentivare i giocatori ad arrivare fino alla conclusione del gioco; al contrario di quanto accadeva con i complicati puzzle di Machinarium, i giochi più recenti hanno adottato un approccio più votato all’accessibilità.

«In Chuchel e in Pilgrims, il design è tale che chiunque dovrebbe essere in grado di finire il gioco e goderselo», dice Dvorský. «Questa è la ragione per cui gratifichiamo i giocatori persino per le cattive decisioni e per le soluzioni sbagliate. Abbiamo iniziato a preoccuparci maggiormente del flusso della partita, della curva di apprendimento e di cose di questo tipo». Ultimamente Amanita Design ha anche cercato di andare oltre al genere dei punta-e-clicca; Creaks, uscito a luglio, è stato il primo platform-puzzle dello studio. Progettato da Radim Jurda e Jan Chlup, vede il giocatore esplorare una grande residenza sotterranea in cui i nemici emergono dall’oscurità, per poi tornare a essere innocui pezzi di arredamento quando una luce di illumina. Questi nemici—i “creaks” del titolo—hanno varie sembianze, dal robot canino alla medusa, e sono impeccabilmente animati nel tipico stile di Amanita Design. Gli sfondi dipinti a mano sono ugualmente deliziosi—realizzati con colori acrilici e poi scannerizzati al computer. Creaks è nato al di fuori di Amanita Design, ed è stato Dvorský ad accogliere a bordo i suoi creatori, dando loro completa autonomia e aiutandoli a completare il gioco fino alla pubblicazione.

«Lo stile sia della grafica che del gameplay sono opera di Radim. È un game designer di talento che sa inventare rompicapo rigorosamente logici ma anche eleganti e creativi», dice Dvorský. «Il suo stile grafico è simile ai nostri vecchi lavori, ed è fortemente influenzato dalle opere d’arte, dalle pellicole cinematografiche e dalle illustrazioni per i libri ceche e dell’Europa dell’est. Come già in Machinarium, volevamo anche mettere in evidenza la sensazione del fatto a mano, e dargli l’aspetto di un’illustrazione presa da un vecchio libro di avventura. Per questa ragione i disegni sono stati creati con inchiostro su carta e poi sfumati con l’acquerello. Credo che questa tecnica abbia una qualità senza tempo assente nella grafica 3D o in quella 2D vettorializzata».

Coinvolgendo altri sviluppatori e progetti lo studio ha ampliato i propri orizzonti, ed è diventato al contempo più prolifico: i giochi vengono pubblicati più velocemente e il divario tra un’uscita e l’altra si è ridotto parecchio rispetto ai primi anni. La creatività e lo stile unico di Amanita Design restano tuttavia intatti, e secondo Dvorský il bello deve ancora venire. «Mi considero fortunato a vivere in una bella bolla di persone diverse, intelligenti e spesso gentili», dice. «E sono contento di come si stanno mettendo le cose».