Il gioco che non voleva essere giocato

Pascal Cammisotto racconta la realizzazione di There Is No Game.

Fin dal principio, There Is No Game: Wrong Dimension si rifiuta di essere un gioco collaborativo. Mentre quasi tutti i titoli tradizionali provano a ingraziarsi i giocatori con tutorial e consigli amichevoli, There Is No Game è palesemente ostile: si apre con una schermata in cui c’è ben poco, a parte il titolo statico e una voce disincarnata che ci implora di spegnere il computer e fare qualcos’altro.

Più clicchiamo in giro, armeggiando con le lettere che compongono il titolo, più la voce diventa insofferente—fino a quando, gradualmente, There Is No Game si rivela essere un’intelligente e inaspettatamente sentita riflessione sull’industria dei videogiochi, le convenzioni del medium videoludico e la natura della creatività.

Un articolo apparso su
Wireframe #45
Tradotto da
Gilles Nicoli
Data della pubblicazione originale
3 dicembre 2020
Ci sono piccoli riferimenti a qualsiasi cosa, dai giochi con la palla alle avventure punta-e-clicca, dai titoli di azione in stile Zelda alle app per smartphone che puntano solo a spillare soldi ai giocatori. È un gioco divertente, strano e in definitiva molto personale dello sviluppatore francese Pascal Cammisotto, e del suo studio indipendente Draw Me A Pixel.

Quando è uscito nell’agosto del 2020, Wrong Dimension ha segnato la fine di un processo creativo iniziato durante una game jam nel 2015, alla quale Cammisotto ha partecipato con un gioco intitolato semplicemente There Is No Game. Il nome della competizione, organizzata da Newgrounds, era Deception Jam. Come premio c’era il palio una console Xbox One. «Come suggerisce il nome, il tema era “deception”», spiega Cammisotto. «In francese vuol dire “delusione”, ma il suo significato in inglese è “inganno” o “menzogna”. Dovendo subito trovare una qualche idea, sono partito dalla domanda: “qual è la più grande menzogna che un gioco potrebbe raccontare?”. Beh, che non ci sia nessun gioco. Perciò il mio punto di partenza è stato il titolo, “There Is No Game”, e da lì ho iterato il gameplay e la storia».

Il gioco ha vinto piazzandosi al primo posto, così Camissotto ha lasciato la jam portandosi via una console nuova di zecca. There Is No Game inoltre è divenuto inaspettatamente virale grazie all’attenzione di alcuni importanti youtuber. Questo successo ha portato Cammisotto a lanciare una campagna Kickstarter per realizzare una versione ampliata del suo bizzarro puzzle; quando il tentativo è fallito, ha messo da parte la sua delusione, ha cercato finanziamenti altrove e ha inserito le sue esperienze come sviluppatore indie all’interno del gioco stesso.

There Is No Game: Wrong Dimension (Fonte: press kit)

«Sopravvivere come sviluppatore indipendente è ogni anno sempre più complicato», dice Cammisotto. «Ma dopo l’inaspettato successo del gioco realizzato per la jam, creare una versione commerciale di quel progetto è stata per me un’opportunità per mantenere un’indipendenza creativa e intanto potermi finalmente guadagnare da vivere. Prima però avevo bisogno di un po’ di soldi per iniziare. Quindi ho fatto questa campagna Kickstarter che purtroppo è fallita. Nonostante le centinaia di email che abbiamo inviato a tutta la stampa internazionale e agli influencer che avevano provato la versione jam, non c’è stato niente da fare. Nessuna novità. Nessuno è stato informato. Quindi ho dovuto finanziare il progetto con i miei fondi, senza darmi alcuna retribuzione per diversi anni. Ecco perché ho deciso di integrare il fallimento della campagna di crowdfunding nella storia del gioco. Tanto valeva essere meta al 100%!».

Il gioco originale realizzato da Cammisotto per la game jam era un punta-e-clicca che si poteva finire in dieci minuti; la prima sfida, quindi, è stata capire come espandere quella breve idea per trasformarla in qualcosa di più lungo e profondo. «Ho iniziato a pensare a come realizzare un gioco che durasse diverse ore a partire da uno spunto che si esauriva in dieci minuti, sorprendendo il giocatore ogni volta», racconta. «Il concetto di viaggio attraverso più dimensioni ci ha messo poco a sembrarmi la soluzione giusta: viaggiare in diverse dimensioni videoludiche, cambiando costantemente il tema, il punto di vista e l’atmosfera. Ma doveva esserci un filo conduttore in questo viaggio, quindi ho iniziato a porre le basi per una storia che avrebbe dato un significato inaspettato al titolo, “There Is No Game”, una volta che il gioco fosse finito».

There Is No Game: Wrong Dimension (Fonte: press kit)

There Is No Game è uno di quei videogiochi su cui è meglio dire poco, perché il suo elemento di sorpresa è ciò che lo rende così unico. Forse è sufficiente dire che gli enigmi portano il giocatore verso sviluppi inaspettati di ogni sorta—ed è il mix di generi diversi presente nel gioco, sottolinea Cammisotto, ad averne reso lo sviluppo più complesso. «Tutto nel gioco richiede molto tempo perché non c’è quasi nessun riutilizzo [delle risorse] da un capitolo all’altro», dice. «Anche quando si tratta di programmazione, ogni capitolo è unico. Sembra che siano sei giochi diversi. Questo è uno dei motivi per cui ci è voluto così tanto tempo».

Sebbene Cammisotto nel corso dello sviluppo si sia fatto aiutare—la pixel artist Nico Nowak ha lavorato su una splendida sezione del gioco—There Is No Game resta in gran parte l’opera di una sola persona. Ciò significa che, oltre a scrivere e progettare il gioco, Cammisotto ha anche registrato da sé la voce fuori campo con la sua pronuncia tipicamente francese. «Probabilmente è a quel punto che ho avuto un esaurimento nervoso», dice Cammisotto, «perché era tutto fatto in casa—[non c’era] il budget per affittare uno studio. Tra i miei problemi di pronuncia, il rumore delle macchine che passavano per strada e un cambio di microfono, ho dovuto registrare l’intero dialogo del narratore tre volte!».

Nonostante—o per merito di—tutte queste sfide, There Is No Game: Wrong Dimension risulta essere una delle esperienze più fresche e originali del 2020. Sembra uno di quei giochi con cui negli anni Ottanta sviluppatori come Mel Croucher allargavano i confini del medium videoludico, ma allo stesso tempo è perfettamente in sintonia con i rischi creativi che gli studi indipendenti devono affrontare nel XXI secolo. È anche possibile immaginare giochi simili, che vadano a esplorare con leggerezza le convenzioni di altri generi videoludici, ma a Cammisotto non sembra interessare. «Ora che la storia è finita, non vedo alcun motivo per viaggiare di nuovo in mondi videoludici parodiati», dice. «Al momento non è previsto alcun sequel. Ma forse, in futuro, mi verrà in mente una nuova idea per restare bloccati in un Doom non violento o su un’isola battle-royale senza nessun giocatore. Chi può dirlo?».