Il pantheon greco di Immortals Fenyx Rising

Nel nuovo open world mitologico di Ubisoft tutto è un remix.

L’action adventure in terza persona della Ubisoft uscito a inizio dicembre 2020 è stato spesso associato ad un colosso della Nintendo; l’accusa di essere un “clone” di Zelda: Breath of the Wild si può leggere in molti articoli della critica sia italiana che estera, e ciò risulta in linea con un mercato videoludico sempre più esigente e ansioso di nutrirsi di titoli, meccaniche e storie nuove. Come sempre accade con le aspettative riguardo un gioco, per Immortals Fenyx Rising il giocatore deve superare il cambio di titolo (dal più “sobrio” Gods & Monsters), il ritardo dell’uscita (che era stato programmato per febbraio 2020, rimandato a fine anno) e l’aspetto da videogioco free-to-play. A sfavore sicuramente gioca pure l’uscita tra altri grandi e attesissimi titoli come Watch Dogs Legion, Assassin’s Creed: Valhalla, Call of Duty Cold War, Cyberpunk 2077. Avvicinarsi a questo videogioco con in mente l’idea di Zelda significa caricarsi inevitabilmente di numerosi pregiudizi che hanno accompagnato anche l’uscita a settembre di Genshin Impact. Fondamentalmente, il direttore creativo Scott Philips, in un’intervista a Gamesradar, ha definito “cool” il paragone tra il suo titolo e quello della casa nipponica, aggiungendo alla lista delle ispirazioni per Immortals Fenyx Rising anche Ratchet and Clank, Super Mario Odyssey e Assassin’s Creed Odyssey.

Fenyx (nome identico che scegliate la controparte femminile a quella maschile) è il protagonista della storia e scudiero della lega delio-attica, che viene catapultato su una spiaggia della Golden Isle dopo un naufragio; avendo scoperto che l’equipaggio è stato trasformato in pietra, il suo personale obiettivo di annullare il maleficio della pietrificazione si somma a quello affidatogli da Zeus e Prometeo di sconfiggere il titano Tifone. A muovere quest’ultimo antagonista contro l’eroe e gli aiutanti è un desiderio di “riabilitazione” dell’Olimpo, perché “The gods failed this world. But I am perfection!” (“gli dei hanno deluso il mondo, ma io sono la perfezione!”), incastonando Fenyx nella Titanomachia, la battaglia tra dei e titani di cui parlano Esiodo e Apollodoro. Dai primi istanti di gameplay la mente non può non tornare alle dinamiche proposte anche in Zelda: la “farsight” ad elevate altitudini per individuare i punti di interesse sulla mappa è molto simile alla tavoletta sheika; l’abisso del Tartaro dove ci si ritrova a risolvere puzzle è inequivocabilmente il corrispettivo dei santuari; le ali di Dedalo sono un parapendio, il sistema della stamina è simile (frammenti nella barra della stamina si riducono e lasciano senza forze se si accelera, nuota, vola, scalano le montagne).

Immortals Fenyx Rising (Fonte: Ubisoft)

A ben vedere, il Tartaro (livelli “bonus” che prendono il nome dalla parte più oscura degli inferi) e i santuari stessi possono essere visti come “eredi” del “secret level” di Super Mario Sunshine e questo perché, come Philips stesso asserisce, tutto è un remix: “I think any time you make a game, you’re going to be compared to something else, because all game creation, all art creation, all everything is… you know, you build from what you know, and you create something new” (“Sono dell’idea che ogni volta che si crea un gioco, esso verrà paragonato a qualcos’altro, perché tutti i prodotti videoludici, in generale ogni creazione è… insomma, creiamo da ciò che conosciamo, e si ottiene qualcosa di nuovo”). Ritorna alla mente La macchina morbida di William S. Burroughs basato su un manoscritto e realizzato con la tecnica del cut-up: ogni opera è spesso in parte copia, in parte rielaborazione, ma non necessariamente clone. E quando un artista si ispira a prodotti già conosciuti e consumati ne imita magari i colori e la tecnica; la domanda quindi riguarda il basarsi o meno del “nuovo” prodotto sugli elementi “presi in prestito”.

Al di là delle meccaniche “ereditate”, il filone in cui si inserisce Immortals Fenyx Rising è l’open world, che legato a Zelda ha destato l’entusiasmo dei fan. Fenyx esplora la mappa dell’isola spostandosi per compiere sia side-quest che la storia principale; nella prima parte della main quest è richiesta un’interazione con gli dei del pantheon greco, per aiutarli a recuperare la loro vera essenza, limitando la libertà che in Zelda pare senza limiti. Per molti può apparire problematico l’approccio in sé di Ubisoft nei confronti di questo genere, nel senso che pare replicare all’infinito una formula generale e statica; per quanto gli scenari siano in linea con la tendenza mitologica del titolo, difficilmente ci si distoglierà dalla quest principale per ottenere collezionabili o esplorare effettivamente l’ambiente circostante, con il risultato di offrire ai giocatori paradossalmente un titolo davvero lineare a partire dal principio: mentre il castello di Hyrule incarna una “guida gentile” e, come scrive Kate Perry su The Guardian, non è un tutorial, ma l’intera esperienza incapsulata in una mini-avventura di due ore, Immortals Fenyx Rising non rinuncia a una fase introduttiva abbastanza esplicativa.

Inoltre, l’allegria che in Zelda anima i personaggi, nel titolo di Ubisoft lascia il posto ad un sarcasmo piacevole, leggero, entertaining. La “Ba no kuuki wo yomu” (“capire la situazione senza parlare” o “percepire le emozioni altrui”) tipicamente giapponese è chiaramente soppressa, mentre sono numerosi i dialoghi tra Prometeo e Zeus; l’espediente narrativo più interessante proposto dal titolo riguarda proprio l’interazione tra questi due narratori/storytellers che, contemporaneamente agli avvenimenti, descrivono ciò che succede e poi confluiscono negli NPC che collaborano con Fenyx. In uno dei dialoghi pieni di witty irony, il padre dell’Olimpo dichiara: “Hero is what they call a mortal who dies” (“chiamano eroe un mortale che muore”). Della possibilità di scegliere Fenyx uomo o donna abbiamo già accennato, ma così facendo inizialmente pare che questa opzione dissolva la personalità del protagonista, le cui caratteristiche più evidenti sono l’insicurezza e il forte desiderio di diventare un “campione”. Fenyx dichiara: “Achilles, you know what to do!” (“Achille, tu sai cosa fare!”) mentre sente di non avere gli strumenti per affrontare una prova grande come quella a cui è sottoposto. Fenyx è letteralmente una fenice che cade e si rialza, brucia, muore e rinasce: appare un eroe catalizzatore sul quale tutti gli dei dell’Olimpo fanno affidamento per la risoluzione di una problematica minacciosa che sembra trascinare tutti in uno stadio di regressione, divinità che “hanno più difetti che pregi”. E questo effort non è più per uno scopo personale, ma per un obiettivo comune che coinvolge l’umanità intera, semidei e divinità.

Immortals Fenyx Rising (Fonte: Ubisoft)

Molti giochi hanno attinto al pantheon greco per poter costruire un background convincente, personaggi dalla personalità più complessa; si vedano i primi episodi di God of War, in cui Kratos si confronta proprio con gli dei della mitologia greca, o anche il più recente Assassin Creed Odyssey della stessa Ubisoft: in quest’ultimo capitolo della Saga di Layla Hassan i riferimenti mitologici sono estremamente precisi, come quello al monte Taigeto (una catena montuosa nel Peloponneso che si erge sopra Sparta) o il campo nei pressi di Anfipoli, attualmente in Macedonia centrale. Per necessità di “giocabilità” e prettamente narrative, in tutti i titoli c’è sempre un personaggio che incarna tutte le caratteristiche dell’eroe mitologico, andando contro la tendenza storica che leggiamo anche nelle fonti di Senofonte, secondo il quale per gli spartani era importante la forza del gruppo, mentre l’individuo era solo una particella dell’esercito che veniva sostituita non appena cadeva. Se Kratos chiaramente incarna l’eroe solitario che agisce per conto proprio, Fenyx è costretto a distaccarsi dalla sua truppa che è stata pietrificata. Si inserisce in un altro esercito di dei e semidei che, a differenza dei titoli che percorrono binari simili, sono estremamente umanizzati (si veda nello specifico la rappresentazione di Ares in God of War e qui) e con una personalità a metà tra divinità e quelli che, come in Hades, potrebbero essere membri di una famiglia molto problematica ed eterogenea.

I principali componenti sono la prole “diretta” del padre dell’Olimpo, ma non mancano, inseriti in modo coerente e “naturale”, una schiera di personaggi mitologici come Atalanta (eroina abbandonata sul monte Pelio perché nata femmina mentre il padre desiderava un erede maschio), oppure Eosforo, la personificazione della luce. Ma di questa famiglia complicata ed allargata sorprende che, tra i personaggi a maturare nel percorso, sia proprio Zeus a cambiare e dover fronteggiare un senso di inadeguatezza di fronte ai numerosi “fallimenti” (familiari) della sua vita. Lo stesso senso di inadeguatezza non è estraneo a Fenyx, che si distingue dagli altri personaggi (e da suo fratello) per la tenacia, per la capacità di mettersi in discussione ed imparare dagli errori suoi e degli altri, nonostante le debolezze che in alcuni momenti sembrano atterrirlo perché: “you may think I’m weak, but at least I try to live for something more than my own pride. Can you say the same?” (“potresti pensare che io sia debole, ma almeno provo a vivere per qualcos’altro oltre il mio orgoglio. Puoi dire lo stesso?”).