Il romanticismo videoludico

Le storie d'amore nei videogiochi, tra agency e autorialità.

Anche se sarebbe difficile definirlo romantico, Donkey Kong è stato uno dei primi giochi a raccontare una storia d’amore, con i suoi intermezzi tra un livello e l’altro che presentano la relazione tra il protagonista, Jumpman (che in seguito sarebbe diventato Mario) e la sua amata, Pauline.

Sebbene fosse il coinvolgente gameplay proto-platform di Donkey Kong ad attirare i giocatori di tutto il mondo, l’inclusione di una sottotrama romantica, per quanto rudimentale, aggiungeva una dimensione ulteriore a tutte le corse e i salti, fornendo ai giocatori un contesto per le loro azioni e alzando la posta in gioco, allo stesso tempo, per il successo e per il fallimento.

L’archetipo della “damigella in pericolo” nasce così nei giochi. Sarebbe rimasto il modello per le prime trame romantiche, in genere costituite da un eroe muscoloso che si avventura in un viaggio inspiegabilmente lungo attraverso strade infestate da criminali allo scopo di salvare la propria amata dal boss alla fine del gioco, il tutto in nome del vero amore. (Perché questi personaggi non siano mai saliti su un taxi per andare direttamente dal più cattivo di tutti, purtroppo, non abbiamo modo di saperlo.) Abbattere infiniti scagnozzi in Kung-Fu Master nel 1984, in Double Dragon nel 1987, in Vigilante nel 1988 e in Final Fight nel 1989 sarebbe stato comunque abbastanza soddisfacente, ma la presenza di una sottotrama romantica e dunque la prospettiva di salvare la ragazza dei vari protagonisti rendeva l’impresa ancor più allettante.

Ci sarebbero voluti decenni prima che le trame romantiche all’interno dei giochi si distaccassero da quei primi loro anni unidimensionali, maturando fino a diventare qualcosa di più rispetto a un motivo per cui il protagonista va in giro a picchiare le persone. Alla fine, il romanticismo videoludico si è evoluto con titoli come The Sims e gli ultimi giochi della serie Persona, ma anche GTA: San Andreas ha separato le trame romantiche dal loro legame con la violenza. Le relazioni nei videogiochi avrebbero raggiunto nuove vette nel 2009 con Dragon Age: Origins, un gioco di ruolo fantasy che insieme a Mass Effect del 2007 è considerato uno spartiacque per le trame romantiche nel medium.

Dragon Age: Origins e i suoi sequel si basavano sul lavoro di precedenti titoli BioWare, incluso Star Wars: Knights of the Old Republic, per creare narrazioni romantiche che sembravano reali. Per David Gaider, lead writer di quei giochi, la creazione di personaggi non giocanti con una certa profondità è fondamentale: «Penso che la cosa più importante di cui hai bisogno», ci dice, «è la sensazione che il personaggio che stai corteggiando abbia una vita e un’esistenza proprie, e non sia una marionetta al tuo comando. Ho visto giochi del genere: premi il “pulsante romantico” e loro faranno quello che vuoi, in maniera indipendente dalle tue azioni. Credo che questo li renda molto meno avvincenti. Penso che l’idea che un personaggio abbia i suoi obiettivi, e possa decidere di non fare l’amore con te se fai o se dici le cose sbagliate, sia potente».

Dragon Age: Origins (BioWare, 2009)

Gaider, a proposito di personaggi romantici le cui aspirazioni sono molto più profonde dell’interesse amoroso del giocatore, fornisce un esempio da Dragon Age: Origins. «Prendi Morrigan, per esempio», dice. «Può darsi sia interessata a te, ma ha una propria storia. Il suo interesse per te non cancella questo fatto». Oggi ci sembra scontato, ma è difficile sottovalutare l’impatto che questo approccio ha avuto un decennio fa. Con l’uscita di Origins, i personaggi romantici si sono evoluti da gingilli non pensanti da assegnare a chi gioca come vittoria, a personaggi pienamente realizzati con motivazioni che possono essere diverse da quelle del giocatore.

Per avere un’ulteriore conferma dell’impatto che Dragon Age: Origins ha avuto sulla narrazione romantica nel medium, basti pensare a quanti sviluppatori ha influenzato da allora. Lo sviluppatore Kan Gao, di Freebird Games, è il creatore dell’acclamata serie di giochi To The Moon, che esplora le relazioni romantiche in modo toccante e dolorosamente umano. Quando si tratta di usare i giochi per esplorare il romanticismo, Gao non ha dubbi su quali siano le sue influenze: «Dragon Age: Origins», sorride. «Anche se non è un gioco romantico, le relazioni hanno sicuramente un ruolo importante. Ho adorato quelle scene in cui dopo una lunga e dura giornata di battaglia ci si ritrova al campo, in un ambiente rilassato, con i propri compagni, e viene voglia di cercare una connessione con quei personaggi, specialmente quando vengono rappresentati in modo così reale».

Gao ne sa qualcosa della creazione di personaggi e relazioni che sembrano reali. In To The Moon, del 2011, racconta una storia d’amore e di perdita decisamente ben scritta. «Penso che una storia d’amore sia ciò che fa provare al giocatore un desiderio, in un senso o nell’altro, all’interno del mondo di gioco», afferma Gao. «Perché funzioni, deve apparire autentica. In qualsiasi opera d’autore, la storia romantica deve certamente essere un’esperienza più drammatica rispetto alla vita reale, ma allo stesso tempo il punto di partenza deve essere una situazione in cui ci si può immedesimare—da quel punto di partenza poi si possono prendere altre direzioni».

To The Moon rappresenta il romanticismo prendendo una direzione diversa rispetto a Dragon Age: Origins, così come ai giochi che ne hanno seguito le orme, con vari gradi di successo, come The Witcher 3: Wild Hunt, Cyberpunk 2077, gli ultimi titoli di Assassin’s Creed e Fallout. Invece di muoversi tra una serie di scelte che devono essere affrontate con successo per giungere al compimento della storia romantica, il giocatore si muove invece tra diversi ricordi, osservando le varie fasi di una relazione svolgersi nel tempo.

«Puoi interagire con il mondo, ma non più di tanto con ciò che accade nel mondo», spiega Gao. «Lo stile di gioco a scelta multipla è senz’altro un tipo di esperienza interessante. Alcuni direbbero che i giochi in fondo non siano altro che questo: una serie di scelte. Dragon Age: Origins è uno dei miei titoli preferiti; adoro quello che hanno fatto. Allo stesso tempo, c’è un valore anche in un tipo di esperienza romantica più diretta—c’è inevitabilmente una scelta da fare: non puoi offrire ai giocatori un’esperienza diretta e dare loro opzioni ramificate. Come director, a volte pensi che “questo è l’unico modo in cui voglio che la storia vada a finire, per dare ai giocatori una certa sensazione”, ed è la scelta che ho fatto, perché tutto To The Moon è all’opera, fino all’ultimo momento, per costruire ciò che il giocatore prova nel momento in cui arrivano i titoli di coda.

To The Moon (Freebird Games, 2011)

Il conflitto tra l’agency del giocatore e l’autorialità dello sviluppatore è una lotta che si trova al centro di molti giochi, ma è particolarmente essenziale per le trame romantiche in cui il personaggio del giocatore è coinvolto in una storia d’amore e non ne osserva semplicemente lo svolgimento, come in To The Moon. In questo scenario, sostiene Gaider, la scelta è essenziale: «L’agency, per quanto mi riguarda, non richiede che il gioco si pieghi a qualsiasi desiderio romantico del personaggio», spiega. «Penso richieda solo che il gioco permetta di fare una scelta e poi, a sua volta, reagisca a quella scelta. Certamente la storia d’amore non deve procedere senza il contributo del giocatore, perché anche quella sarebbe una perdita di agency. Deve essere una strada a doppio senso: quando fai delle scelte, i personaggi reagiscono, e quando i personaggi fanno delle scelte, anche tu devi poter reagire, ed è così che si crea l’illusione di una relazione autentica».

Sebbene le rappresentazioni autoriali di sottotrame romantiche—come in Firewatch di Campo Santo—possano essere di grande impatto, una riflessione a posteriori può dare l’impressione di aver vissuto un’esperienza fasulla, dove l’agency era tagliata fuori e l’esperienza romantica del tuo personaggio risultava in gran parte identica a quella di ogni altro giocatore. «Firewatch è interessante», osserva Gaider, «ma non puoi fare alcuna scelta. Non sono molti i giochi che offrono qualcosa di simile alle scelte in stile BioWare. Ci sono Fallout 3 e 4, ma le relazioni sembrano sempre un po’ obbligatorie. Le trame romantiche di Assassin’s Creed: Odyssey mi hanno piacevolmente sorpreso».

L’idea che le storie d’amore nei giochi non siano altro che il risultato di una serie di risposte corrette o di missione completate, Gaider la riassume così: «quel modello in cui per il romanticismo c’è una ricompensa, quella ricompensa è il sesso». È un tropo ricorrente negli scenari romantici videoludici: l’illusione di poter scegliere fa pensare ai giocatori di essere liberi di portare avanti una storia d’amore nel modo che preferiscono, quando la verità è invece molto più banale, e spesso ruota attorno al completamento di determinate missioni e alla scelta di risposte di dialogo corrette.

Doki Doki Literature Club!, al contrario, utilizza l’esperienza romantica del giocatore con effetti deliziosamente sovversivi. È in apparenza una simulazione di appuntamenti, ma poi conduce il giocatore in un viaggio sconvolgente che deve semplicemente essere provato per crederci. Secondo il creatore del gioco, Dan Salvato, capovolgere «il tropo secondo il quale poche semplici scelte possono portare al risultato desiderato» è stato semplice, dato il livello di radicamento (soprattutto nel genere dei simulatori di appuntamenti) di tali meccaniche di gioco.

«Non avevo bisogno di impegnarmi molto per far sì che il giocatore si aspettasse un certo livello di agency, perché i giocatori sanno già come dovrebbe funzionare un simulatore di appuntamenti», dice. «Quelle convenzioni, e varie altre regole non scritte, permettono a Doki Doki Literature Club! di essere un’esperienza inquietante. Una volta che le regole vengono infrante, non sai nemmeno più quale sia il gioco. Non è un “sim di appuntamenti”: diventa un’esperienza strana e non categorizzata in cui qualsiasi cosa può accadere in qualsiasi momento, ed è spaventoso».

Un articolo apparso su
Wireframe #58
Tradotto da
Gilles Nicoli
Data della pubblicazione originale
6 gennaio 2022
Salvato insiste sul fatto che, per offrire qualcosa di realmente diverso, le meccaniche e le narrazioni romantiche all’interno dei videogiochi devono continuare a evolversi: «I giocatori cercano di entrare in contatto con personaggi che hanno qualità umane riconoscibili, piuttosto che con personaggi che possono vivere felici e contenti semplicemente perché il protagonista ha detto o fatto alcune cose specifiche. Questo è il tropo che volevo sfidare: quello in cui basta una magica combinazione di semplici decisioni per dare una svolta alla vita di qualcuno».

Gaider, da parte sua, non è sorpreso che al di fuori della sfera indie, i titoli mainstream non spingano gli elementi romantici in direzioni più audaci. «Sono sorpreso dal fatto che altri studi non creino storie romantiche? No. Molti giocatori che giocano i titoli di BioWare sono sorpresi nel sapere che solo una minoranza completa le trame romantiche. La maggior parte dei giocatori affronta quei giochi senza occuparsene, sia in Mass Effect che in Dragon Age».

A questo proposito occorre fare considerazioni più ampie. Un pubblico di giocatori sempre più diversificato vuole veder rappresentate sullo schermo le proprie esperienze romantiche. Con community di giocatori più esplicite che mai in questo senso, Gaider si chiede se i dibattiti sulle identità non rendano meno attraente per gli studi la prospettiva di affrontare le narrazioni romantiche: «Negli ultimi giochi di BioWare le storie d’amore hanno portato a un dibattito più largo sulla sessualità e sulla sua rappresentazione. Non si trattava più solo di contenuti di gioco. Ci sono stati giocatori che hanno parlato del “diritto” a ricevere questo contenuto, oppure della “moralità” del non riceverlo. Questo tipo di conversazioni finisce per dominare il discorso sui tuoi giochi, e posso capire perfettamente perché alcuni, o anche molti sviluppatori, pensino “non ci interessa tutto questo; vogliamo solo fare un buon gioco di combattimento”».

Questo è il motivo per cui forse continueremo a vedere un’evoluzione del romanticismo solo nelle produzioni indie, dove i creatori possono continuare a tessere storie personali, libere dalle intrusioni di PR, marketing e algoritmi, o dalla necessità di rinunciare alla profondità in favore della diversità. È certamente una questione ripresa da Salvato, che spiega: «Voglio scrivere personaggi con qualità che siano significative per me. Forse può aiutare [i giocatori] a sentirsi meno soli. Anche se non saprei dire se le rappresentazioni superficiali dei personaggi abbiano un impatto negativo osservabile sulla società, mi sento fiducioso, sulla base di tutte le storie incredibili che le persone hanno condiviso con me su Doki Doki Literature Club!, che rappresentazioni di personaggi profonde e realistiche possono fare un’enorme differenza in positivo».

«Sembra che a questo punto, se hai intenzione di creare contenuti romantici, dovresti impegnarti per essere responsabile», aggiunge Gaider. «Penso che molti dei problemi che esistono siano commessi in genere da persone che non si sono prese il tempo di pensare alle implicazioni di ciò che stavano facendo, di ciò che stavano dicendo». Nonostante le trame romantiche, da Dragon Age in avanti, siano rimaste sostanzialmente le stesse nei titoli tripla A, Gao crede che qualsiasi gioco miri a catturare l’essenza di una relazione significativa tra due esseri umani dovrebbe fare affidamento sulle opportunità narrative offerte dal mezzo videoludico. «Ci offre un punto di vista unico per guardare al romanticismo e alle relazioni in un modo più semplice rispetto alla vita reale, e c’è un valore e un potenziale in questo», spiega. «Nella vita reale le relazioni a volte possono diventare troppo complicate, mentre nei videogiochi puoi individuare un’area su cui vuoi concentrarti e approfondire quella, e così puoi imparare qualcosa. In molti modi, si tratta di limiti preziosi, e nel prossimo futuro è così che le cose rimarranno».