L’Italia del Simulmondo

Caratteri nazionali e transnazionali dell’industria italiana del videogioco.

Nel 1987 Francesco Carlà, uno studioso e giornalista motivato da un forte interesse per il gioco elettronico, pubblica sulla rivista MCmicrocomputer un annuncio destinato agli appassionati di tutta Italia interessati a diventare professionisti del settore1. Dalle risposte all’annuncio emergerà a Bologna Simulmondo, probabilmente la prima software house italiana interamente dedita allo sviluppo di videogiochi (Fassone/Nosenzo 2016, p. 153)2.

Carlà coordina team di sviluppo di tre-quattro persone che si mettono al lavoro su home computer come i sistemi Commodore 64 e Amiga. Millemiglia, I Play 3D Soccer e Dylan Dog vedono tutti la luce su Amiga; il primo viene prodotto anche per Commodore 64 e MS DOS, il terzo anche per Atari ST3. Simulmondo e la maggior parte delle software house europee producono prevalentemente per home computer, piuttosto che per i sistemi prodotti da multinazionali nipponiche come Nintendo e Sega.

Gli home computer si sono imposti in Europa grazie a centri di produzione e distribuzione locali che hanno fatto da barriera di accesso ai competitor giapponesi (Donovan 2015, p. 583), e sono liberi dai protocolli di sviluppo e dalle esose licenze d’uso degli esportatori di oltreoceano. La prossimità geoculturale tra i paesi europei facilita poi gli interscambi tra tecnologie, linguaggi di programmazione e mercati limitrofi4.

Per Simulmondo, queste piattaforme rappresentano il biglietto di ingresso principale per la produzione sul mercato italiano. Tuttavia, la domanda è creata soprattutto da prodotti provenienti da altri paesi: il software proviene da aziende giapponesi, americane e europee, soprattutto francesi e inglesi. Le condizioni in cui Simulmondo inizia a produrre videogiochi in Italia sono dunque fortemente determinate da transiti tecnologici, economici e sociali di un mercato interconnesso5, in cui le dinamiche geografiche dei media si conformano a specifici contesti mentre, come vedremo, contribuiscono anche a plasmarne delle specificità (Ortoleva 1996, p. 187).

In questo contesto, Simulmondo si distingue per una produzione fortemente legata a un contesto nazionale, seppure rispondente agli imperativi di un mercato dal respiro ben più ampio. Lo scouting di Simulmondo, che favorisce la transizione tra una costellazione di realtà amatoriali e programmatori a una realtà di produzione professionale, è, da un lato, una operazione nazionale, o ancora pan-regionale, perché raduna programmatori da varie parti d’Italia6. Carlà parte dall’esigenza di promuovere un “videogioco all’italiana” alla stregua del cinema italiano famoso nel mondo7. Tale carattere è riflesso nella scelta dei temi: perlopiù simulazioni sportive e, in una fase successiva, giochi tratti da fumetti, su licenza di importanti produttori come Bonelli.

D’altro canto, la ragione d’essere di Simulmondo è implicitamente transnazionale: l’azienda produce per elaboratori e con linguaggi di programmazione provenienti dall’estero, rifacendosi a design globalmente riconoscibili e pensati per le aspettative di giocatori nazionali abituati a giochi circolanti internazionalmente. La strategia di Carlà come produttore consiste nell’affidare a dei team di sviluppo dei concept capaci di legare un brand o un tema di richiamo a un design consolidato o promettente8. Dylan Dog: Gli Uccisori impianta il brand Bonelli sulle formule di action game dell’epoca, i cui antesignani più illustri sono Shinobi (1987), Rolling Thunder (1986) e Michael Jackson’s Moonwalker (1990). Coevi su home computer sono Gods (1991) e il rivoluzionario Another World (1991).

Gli Uccisori tenta di adattare l’orrore a fumetti degli albi di Dylan Dog in un sistema di gioco che mescola esplorazione, combattimento e elementi narrativi. Nel caso di Millemiglia, l’idea è quella di ricreare le storiche corse di granfondo attraverso un design di successi internazionali come Outrun (1986), ChaseHQ (1987) e Crazy Cars (1987)9. Millemiglia ricalca le ambizioni di velocità e di realismo del genere, puntando soprattutto sulla ricostruzione storica. In parte diverso il caso di I Play 3D Soccer, che capitalizza su un interesse di lungo termine per il calcio sui mercati europei, ma si distingue per un design innovativo, in cui il giocatore condivide la prospettiva del calciatore.

Un estratto dal libro
Il videogioco in Italia
A cura di
Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone
Editore
Mimesis
Anno
2020
Un’analisi del design dei prodotti dimostra, in accordo con alcuni assunti della analisi transnazionale dei media del periodo (Higson, 1989) che l’economia e la circolazione dei beni nel settore sono legati a una forte componente di internazionalizzazione. Millemiglia, I Play 3D Soccer e Dylan Dog sono prodotti in un contesto culturale italiano, ma devono partire da formule e temi ben riconoscibili da un pubblico che consuma prodotti provenienti da altri paesi.

Negli stessi anni altre aziende attive in Italia, come Idea, Genias e Trecision, impiegano strategie simili: Lupo Alberto e Cattivik (Idea Software 1990, 1992) adattano i personaggi degli albi a fumetti a generi resi noti da Super Mario Bros (1983) o Creatures (1990); i giochi sportivi prodotti in Italia includono Over the Net (1990) di Genias/Dardari Bros e Dribbling: Calcio Serie A (Idea, 1992); Profezia (Trecision, 1991) è ambientato in Abruzzo e combina elementi di paesaggio locali con formule horror internazionalmente diffuse.

Queste costanti possono essere elevate a tropi ricorrenti delle produzioni italiane di questo periodo: molti giochi presentano temi locali, ma si basano su generi internazionalmente consolidati10. Come fa notare Gandolfi (2015, p. 307), le produzioni italiane ruotano intorno a brand, altri media, e pratiche sociali diffuse come fumetti, sport e automobilismo. Non si tratta di dinamiche esclusive del contesto italiano: questi procedimenti garantiscono, anche in altri paesi, il transfert di temi e a volte anche di maestranze e legittimazione culturale11. Sono piuttosto in opera dei processi di adattamento di modelli di design globalmente diffusi per dei mercati locali. I prodotti esteri consumati in Italia sono in effetti già una cultura dei giocatori italiani, fungendo da modelli per le produzioni nostrane.

Fig. 6 – Il logo di Simulmondo, da Millemiglia, 1991 (Credits: Simulmondo).

Simulmondo si distingue da altre aziende12 per la produzione più ampia13, per una enfasi sistematica e ambiziosa sul proprio brand e per la capacità di ottenere l’attenzione dei mass media, in tempi in cui—come riferito da Carlà—“la tv generalista, i giornali e le riviste mainstream davano grande visibilità ed erano irraggiungibili dai produttori e distributori di videogiochi italiani”. Sue sono le sinergie intermediali e partnership più fruttuose, consolidate con importanti operatori nel settore dei fumetti e dell’automobilismo, come Bonelli Editore e la fondazione Millemiglia.

Non solo, dunque, Simulmondo si distingue dalle costellazioni amatoriali che la precedono (Gandolfi 2015, p. 307; Fassone/Nosenzo 2016; Carbone 2018), ma imprime forse con maggiore forza il proprio segno rispetto ad altre realtà produttive del periodo in ragione della sua intensa attività di harnessing di risorse, della scala ampia della produzione e di una marcata politica di etichetta e di consistenza stilistica del brand, che accompagna prodotti anche molto diversi tra loro14.

In un contesto dominato commercialmente e sovradeterminato al livello delle aspettative da prodotti stranieri, I Play, Millemiglia e Gli Uccisori rappresentano alcuni esempi di una caratterizzazione fortemente orientata al mercato domestico. Al contempo, Simulmondo esibisce aspetti di italianità pensati in senso distintivo per il mercato estero. Carlà stringe accordi di distribuzione in paesi come Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Grecia. La visione produttiva e di branding ricorda quella della britannica Psygnosis, che si distingue come etichetta di distribuzione dal forte richiamo estetico in un mercato pan-europeo15.

La strategia di proiezione in Europa di Simulmondo risuona con quella che Higson (1989) ha discusso come la costruzione di un carattere e una soggettività nazionale riconoscibili all’interno di un sistema di significazione transnazionale16. Simulmondo prova ad autocaratterizzarsi almeno in parte per un tentativo di costruzione e branding della propria italianità. Il logo dell’azienda ideato da Carlà e firmato dal designer e bolidista Massimo Iosa Ghini, con il mondo circondato da un atomo rotante [Fig. 6], riflette tanto un carattere italiano quanto un’idea di internazionalismo: lo sguardo dall’Italia di Simulmondo tenta ad allinearsi in un certo senso anche con un ipotetico sguardo sull’Italia17.

Note

  1. Carlà è giornalista musicale e studioso di tecnologia e cinema. Pioniere del giornalismo videoludico in Italia con la rubrica Play World su MCmicrocomputer, si avvicina alla produzione come studioso e critico. Future ricerche si concentreranno su come Carlà metta in campo, nella sua narrazione di Simulmondo, conoscenze e mitologie autoriali del regista e del produttore mutuate dalla storia del cinema. Cfr. la storia dei videogiochi scritta da Carlà (1993). ↩︎
  2. Secondo Carlà, all’appello rispondono in centinaia. Come notano Fassone/Nosenzo (2015, p. 153), Simulmondo emerge da un variegato ecosistema amatoriale popolato da “programmatori e pirati” in un mercato di adattamenti, localizzazioni e varianti più o meno illecite (Fassone 2016); cfr. Tosoni/Tarantino/Pachetti in questo volume. ↩︎
  3. Quando Simulmondo apre i battenti il mercato dei giochi elettronici, emerso negli anni Settanta in America a seguito di sperimentazioni tecnologiche, è già globalizzato. Giochi prodotti negli Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e Europa continentale hanno colonizzato gli spazi pubblici e domestici. Cfr. Wolf (2015, p. 4). Sull’Italia cfr. Gandolfi (2015, p. 307). ↩︎
  4. Anche in Italia, programmatori si riuniscono intorno a piattaforme di sviluppo come i sistemi Commodore, generando una sottocultura euroamericana di fan, hacker e cracker (cfr. Swalwell/Stuckey/Ndalianis 2017; in questo volume, Tosoni/Tarantino/Pachetti). ↩︎
  5. Un simile approccio affronta tanto i caratteri globalizzati degli interscambi che le loro articolazioni regionali. Cfr. Bassetti (2015, p. 95-97) sul “glocalismo” come concetto correlato. ↩︎
  6. Simulmondo ha sede a Bologna, città di vivace sperimentazione artistica. A Carlà rispondono soprattutto programmatori del Nord Italia, riflettendo asimmetrie strutturali, come i redditi più bassi al Centro e Sud Italia e la più scarsa alfabetizzazione informatica. Un’altra disparità strutturale è legata alla assenza di donne, dovuta a asimmetrie di genere sistemiche (dall’istruzione formale alle narrazioni sociali del medium). Su videogiochi e genere si parta da Shaw (2014); su genere e Italia Cfr. Passerini (1996). ↩︎
  7. Carlà si riferisce più volte nelle interviste agli spaghetti western di Leone e Corbucci. ↩︎
  8. Nel corso delle interviste Carlà fa spesso riferimento alla sua figura di produttore-mentore che cura il gioco dalla ideazione alla promozione, coordinando il lavoro come “un David Selznick nel cinema o un Phil Spector nella musica”. ↩︎
  9. Crazy Cars 2 introduce una mappa di navigazione che sembra ispirare Millemiglia, oltre a licenze ufficiali, come quella di Mercedes Benz. ↩︎
  10. In questo contesto, la sinergia è tra generi affermati e il valore aggiunto di licenze commerciali riconoscibili dal pubblico nazionale. Come dichiarato nelle interviste da Antonio Farina (Graffiti/Idea, Milestone, Re-Ludo), il produttore è un tuttofare, che si occupa del concept e della direzione di un team: Farina si forma sullo ZX Spectrum e passa alla produzione artistica. ↩︎
  11. Processi simili si riscontrano in molte industrie dal successo globale: Aoyama/Izushi (2003, p. 243) spiegano il successo di quelle giapponesi sulla scorta di un circolo virtuoso tra i settori dell’animazione e della consumer electronics, con una sommatoria di competenze e competitività e concomitante sviluppo di sinergie transnazionali con filiali e partner all’estero. Cfr. anche Consalvo (2016). ↩︎
  12. Tali software house operano con specifici approcci, meritevoli di futuri e più estesi studi e ricerche. ↩︎
  13. A titolo esemplificativo, Genias è attiva tra il 1989 e il 1993 e Idea Software tra il 1990 e il 1992; entrambe pubblicano circa 15 prodotti principali; negli stessi anni Simulmondo ne produce almeno una trentina. ↩︎
  14. Simulmondo, facendo fede al suo nome, produce numerose simulazioni, presto organizzate in serie, come quella chiamata “I Play” (che, secondo Carlà, anticiperebbe l’intuizione dello i di Apple), oltre agli adattamenti da fumetti. ↩︎
  15. Simulmondo opera in un mercato pan-europeo di produzioni, interscambi, contratti di distribuzione e licenze i cui prodotti in Italia trovavano destinazione privilegiata nelle edicole e nei negozi di elettronica (o persino, a volte, di elettrodomestici). Diversi i giochi per le console e le produzioni giapponesi, che arrivano nei negozi di giocattoli e, come precisa Carlà, rappresentavano un settore di produzione dalle condizioni contrattuali proibitive e limitanti per molte software house europee. La storiografia amatoriale in Italia ha spesso semplificato tali processi, presentando confronti fuorvianti tra queste due aree (così in Cirica, 2015). ↩︎
  16. Cfr. anche Gundle (2018) e Tremblay (2011) su industrie creative e strategie distintive di branding. ↩︎
  17. Il logo rimanda ovviamente anche alla riflessione di Carlà sul Simulmondo come metafora della smaterializzazione, della simulazione e della rappresentazione. ↩︎