La materia oscura di Alan Wake

L’orrore e il terrore affondano sempre nell’assurdo.

Dopo aver scambiato un po’ di riflessioni con Gilles Nicoli a proposito di Control, ho sentito il bisogno di provare ad andare ancora più fondo rispetto alla storia di Alan Wake e al legame con quella di Jesse Faden. Non sono riuscito a sciogliere tutti i nodi, nemmeno in questo articolo, a partire da quello che riguarda proprio il Federal Bureau of Control: perché tutti gli orologi al suo interno sono fermi alle 15.45?

“Water falls / from bright air / it falls like hair, falling across a young girl’s shoulders.”

Paterson

È sempre bene dubitare, quando la realtà ti si dispiega davanti in tutta la sua apparente razionalità, linearità e coerenza. Prendete la sede del Federal Bureau of Control a New York: dietro un’architettura solida e impenetrabile si agita una natura tutt’altro che fissa, anzi oscura, non-locale, cangiante… che pure gli scienziati del FBC sperano di riportare su un piano di realtà intellegibile attraverso fisica, chimica e linguistica.

Allo stesso modo, una carriera letteraria di successo può celare una vicenda umana tutt’altro che edificante, fatta di depressione, incostanza, crisi creative e scoppi di rabbia improvvisa che destabilizzano amici e famigliari. È il caso di Alan Wake, dalla cui macchina da scrivere potrebbe essere uscito proprio il Federal Bureau of Control.

Chiunque si sia misurato con la scrittura o altri mezzi espressivi sa quanto sia necessario sudare per approdare a un proprio stile e a una propria visione, passando per uno spietato confronto quotidiano con sé stessi e i propri limiti. Un periodo di apprendistato che in alcuni individui apre uno squarcio, una sorta di soglia interiore da cui fuoriescono caos e demoni da addomesticare al più presto affinché l’artista diventi tale—affinché diventi, cioè, capace di creare nonostante la sofferenza, e non più grazie ad essa.

Tutta la storia di sofferenza artistica e psichica di Alan Wake potrebbe trovare risposta in questa chiave di lettura, rivelandosi il percorso con cui Wake diventa uno scrittore felicemente a suo agio nella scrittura. La Presenza Oscura e le sue emanazioni—tanto i posseduti che gli agglomerati di oscurità materica che ritornano all’interno del FBC in Control—potrebbero rappresentare l’inchiostro in cui Alan, scrittore in crisi, deve immergersi senza più paura di affrontare sé stesso (e il suo doppelgänger Mister Graffio); così la luce, quella portata dal poeta-palombaro Corrado Govoni Thomas Zane, potrebbe essere l’ispirazione che bagna le pagine del romanzo portato a termine nel futuro, indicando la strada per la salvezza nel presente—una strada reale, che dal futuro crea il presente perché già scritta in quelle pagine finalmente riuscite.

Alan Wake (Remedy Entertainment, 2010)

D’altra parte ogni scrittore è un detective: fa luce su una storia—come Wake con le sue torce—per comprenderla, scriverla e tradurla ai suoi lettori. Per Alan Wake, nonostante il successo, l’indagine è tutta rivolta verso l’interno e le proprie ombre: un nodo ancora irrisolto. Per quel che sappiamo, infatti, pur essendo riuscito a salvare sua moglie Alice, Wake è ancora prigioniero del Luogo Buio: da lì è probabile che stia scrivendo Il ritorno, cioè storia della giovane direttrice del FBC Jesse Faden, affinché quest’ultima diventi l’eroina pronta a salvarlo dalla Presenza Oscura che lo tiene in scacco a Paterson Bright Falls.

C’è un problema, però: tanto la storia di Alan Wake quanto quella di Control e di Jesse Faden sono reali nei rispettivi mondi di gioco, e al contempo creano l’altra come potenziale fiction, sconfinando in essa; come un disco degli Old Gods of Asgard, le due storie sono materiali insieme diegetici ed extradiegetici di un universo narrativo condiviso. C’è di più: non è chiaro se lo stesso Alan Wake sia a sua volta una creatura ideata dal poeta Thomas Zane, anche lui vittima della Presenza Oscura che infesta Cauldron Lake, per salvarsi, o se sia piuttosto vero il contrario, cioè che Wake sia una versione migliorata di Zane, da lui stesso creato per fuggire dal Luogo Buio.

Una grande confusione—difficile dire pure fino a che punto voluta da Remedy Entertainment e dall’autore Sam Lake (che per non farsi mancare niente si inserisce in questo complesso universo con una fugace apparizione in Alan Wake). Ma a ben guardare l’orrore e il terrore affondano sempre nell’assurdo, e l’assurdo è proprio l’impossibilità di riconoscere la fonte, l’origine della manifestazione di un certo avvenimento, più o meno insolito, una volta che si è oggettivamente manifestato nella nostra realtà. Non è tanto quel rumore sinistro avvertito in un appartamento al buio a terrorizzarci, insomma, quanto non poter stabilire da dove proviene, o da chi o da cosa è stato prodotto.

Lo stesso Alan Wake, citando Stephen King, fa notare che l’orrore non ha bisogno di spiegazioni, al contrario: tanto meno troverà giustificazione, tanto più sarà spaventoso. “Chi e perché ha originato cosa?”, dunque. Oppure: “Chi scrive cosa?”, nel caso di Alan Wake e Control. E perché, poi?


Chi sembra avere le idee chiare in merito, almeno in un primo momento, è il dottor Emil Hartman. Psicologo ed esperto nel trattamento di artisti in crisi, in Alan Wake viene definito come uno che ha preferito ritagliarsi un ruolo simile a quello di un produttore musicale/cinematografico, invece che sprofondare in prima persona negli abissi di linguaggi ed estetiche artistiche. Così Hartman, prima di accogliere anche Wake nelle stanze del suo cottage a Bright Falls, accudisce pittori della domenica, rockettari in pensione come i fratelli Tor e Odin Anderson (gli Old Gods of Asgard, appunto) e persino uno sviluppatore di videogiochi.

Da “produttore”, Hartman sa che alcuni individui particolarmente dotati non sono agenti attivi e consapevoli del linguaggio artistico, quanto medium che possono ospitare presenze oscure e traghettarle da questa parte della realtà: ecco la soglia, l’abisso che si apre in noi quando ci mettiamo alla prova con un mezzo espressivo.

Ma da buon Faust, il dottor Emil Hartman diventa vittima dell’orrore che ha prima liberato, per studiarlo, e poi tentato di controllare. In Control—storia di alchimia e di scienza che collassano nel paranormale—Hartman viene posseduto dall’Ombra, probabilmente la stessa Presenza Oscura di Alan Wake, che fa di lui una mostruosità deforme. Come gli agenti del FBC posseduti dall’Hiss, anche i posseduti dall’Ombra vengono svuotati di volontà e parola. O forse siamo noi che non siamo in grado di riconoscerne ragioni, intenti, obiettivi.

Control (Remedy Entertainment, 2019)

Perché Ombra, Presenza Oscura e Hiss si manifestano in questo mondo, perché vogliono diffondersi da questa parte possedendo esseri umani e vaste porzioni di realtà? Un altro elemento tipico dell’assurdo (e di conseguenza dell’orrore) è proprio l’incapacità di riconoscere nella cosa che ci sta davanti le ragioni di un certo movimento, di attribuirle delle motivazioni razionali che la doterebbero di soggettività ai nostri occhi.

Quanto alla parola, se pure si affievolisce o diventa pura nenia meccanica nei posseduti da Hiss e Ombra/Presenza Oscura, riempie tanto Alan Wake che Control. I posseduti dell’Ombra, cioè gli onesti e tanto più inquietanti cittadini di Bright Falls, non fanno che ripetere le ultime frasi, ormai prive di senso, che li caratterizzavano nella loro angosciante quotidianità: “È il caso di cambiare l’olio”, “La pillola del mattino ti rende più tranquillo”, “Dov’è il mio cane?”.

Allo stesso modo, per le stanze e i corridoi del FBC sentiamo risuonare sibili e sussurri che ripetono ossessivamente le stesse parole: “Happyness comes…”. A lungo gli scienziati del FBC, in particolare la dottoressa Emily Pope, si interrogano su come comunichi l’Hiss, su quanto conservi della volontà originaria degli agenti posseduti, senza trovare risposta.


Ma la parola ha anche un aspetto positivo, nei due giochi. Prima di tutto perché è una forma di mediazione rispetto all’orrore in cui sprofondiamo: l’assurdo di Alan Wake e Control viene raccontato molto attraverso i testi e i documenti che troviamo andando in giro per Bright Falls e FBC.

In AWE, il secondo contenuto aggiuntivo di Control (il cui acronimo potrebbe stare tanto per Altered World Events che per Alan Wake Experience), abbiamo fiducia nella buona riuscita della missione di Jesse Faden quando scopriamo che è potenzialmente scritta da Alan Wake, specie dopo che la nostra precedente guida, il dottor Casper Darling, è impazzita sotto i nostri occhi (e qui bisogna notare che il doppiatore di Darling, l’attore Matthew Porretta, presta la sua voce anche ad Alan Wake); allo stesso modo proviamo un po’ meno terrore per le strade di Brights Falls quando intuiamo che, se leggeremo le pagine del manoscritto compiuto, sapremo già cosa ci attende in quell’edificio buio o dietro una porta sbarrata.

Nei contenuti aggiuntivi di Alan Wake, Il segnale e Lo scrittore, poi, la parola è un vero e proprio elemento di gameplay, in grado di dare un respiro diverso all’intero gioco: mi riferisco alle sezioni in cui le parole prendono letteralmente forma materializzandosi per le strade e i boschi di Bright Falls, diventando quindi oggetti concreti che possono creare e modificare la realtà ludica. In quei capitoli extra il giocatore si trova spesso alle prese con vocaboli fermi a mezz’aria nel paesaggio (“attrezzi”, “scale”, “nemico”, “uccelli”, “esplosione”), che una volta liberati dall’oscurità danno vita agli elementi di gioco che descrivevano (a volte utili per il giocatore, altre pericolosi). Metafore—benché tutto il linguaggio agisca sulla realtà per metafore—di ciò che significa scrivere e progettare un videogioco, forse, ma anche dello scrivere in generale.

Control (Remedy Entertainment, 2019)

Ed è qui che Alan Wake fa uno scatto ulteriore, suggerendo non solo che è il linguaggio a creare la realtà, ma anche che molto di quello che siamo in grado di fare dipende dalla qualità del linguaggio di cui disponiamo. Dopo aver salvato sua moglie, Alan scopre che se un giorno sarà in grado di tirarsi fuori da Cauldron Lake sarà proprio perché la sua scrittura è migliore di quella del poeta Thomas Zane. In altri termini, Wake riesce dove Zane ha fallito semplicemente perché ha dominato i propri demoni e inizia a padroneggiare gli strumenti letterari meglio di quanto sia riuscito a fare Zane (e questo al di là dell’ipotesi che tutta la storia di Wake sia un calco di quella di Zane, o viceversa). È una questione di maturità, di sopraggiunta padronanza di un certo linguaggio artistico: ed ecco perché, come dicevo prima, il manoscritto di Wake funziona ed è davvero in grado di alterare la realtà in positivo per le sorti di Alan e del giocatore.

È impossibile stabilire e ricostruire tutte le connessioni tra Alan Wake e Control, due opere così zeppe di simboli, suggestioni e ambiguità da invitarci a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi che le cose siano sfuggite di mano persino a Sam Lake e agli sviluppatori di Remedy (“Chi scrive cosa?”). A legare i due giochi, poi, e a renderli due oggetti particolarmente strani (alterati?), c’è anche una certa asimmetria: tutti i temi toccati in questo pezzo, dal complesso percorso artistico di Alan Wake fino alla possibilità che sia lui a scrivere l’intera storia di Jesse Faden, vengono infatti dai contenuti aggiuntivi di Alan Wake e Control. Mai come in questo caso i DLC—peraltro piuttosto brevi—espandono il senso delle vicende raccontate nei titoli principali, spostandone il baricentro e impattando significativamente sulle rispettive economie e gerarchie narrative, oltre che sul gameplay.

Come nel Labirinto del Posacenere di Control che si fa e si disfa sempre uguale potenzialmente all’infinito, Remedy ha dato vita a un meccanismo ricorsivo in cui è impossibile districarsi del tutto, in cui persino easter egg, citazioni e fan service possono assumere improvvisamente nuova luce creando nuove storie o modificando retroattivamente quelle già raccontate. Alla fine si ha davvero la sensazione che un piano astrale abbia investito, alterandola, una realtà ludica apparente ordinaria per creare qualcosa di nuovo, che forse deve ancora dispiegarsi completamente davanti ai nostri occhi.