Promesa, il rito del ricordo

Uno spazio mentale al confine tra memoria e realtà in cui vagare a nostro piacimento.

Una delle esperienze più magiche tra quelle che si vivono da bambini è ascoltare i racconti dei nonni, le storie dei più grandi. Ognuno di noi si è costruito, tramite le storie tramandate in famiglia, un vero e proprio immaginario che comprende suoni, paesaggi, volti quasi sempre mai visti o vissuti in prima persona. Questa sorta di rito permette di capire un po’ meglio com’era il mondo prima che nascessimo, ma anche di portare avanti una visione specifica della storia, di sentirla più vicina, e soprattutto di condividerla con i nostri predecessori e successori. Promesa è un gioco che si propone di rendere il giocatore partecipe di questo rito, facendogli esplorare l’immaginario comune di un nonno e un nipote in un universo che ha proprio i tratti dei racconti e dei ricordi. Più che come un gioco vero e proprio, è concepito come un’esperienza: il suo creatore consiglia di viverla in solitudine, possibilmente al buio.

Questa premessa si traduce concretamente in un walking sim da manuale in cui il giocatore, che vive tutto in prima persona, è chiamato soltanto ad osservare, esplorare e comprendere il mondo che lo circonda senza interagirvi se non emotivamente. Nell’ultimo anno i walking sim hanno acquisito una funzione particolare: in un mondo che si è fermato per mesi il genere ha permesso, soprattutto tramite i giochi fruibili in VR come quelli sviluppati da Matt Newell, di far esplorare virtualmente nuovi luoghi a tanti videogiocatori bloccati a casa. Nel caso di Promesa però lo sviluppatore Julián Palacios Gechtman non punta meramente alla riproduzione fedele di uno spazio fisico esistente, per quanto nel gioco ne siano presenti alcuni, bensì ci propone una rielaborazione di uno spazio mentale al confine tra memoria e realtà in cui vagare a nostro piacimento. Ogni sessione di gioco, che dura all’incirca 45 minuti, consiste infatti nell’esplorare ogni volta scene diverse: dalla casa di famiglia al paesino, fino all’albergo per migranti.

Promesa (Fonte: press kit)

Promesa ci permette di entrare nelle stanze, nei paesi e nelle strade vissute dal nonno in un’atmosfera nostalgica che si adatta alla perfezione allo scopo del gioco. Visivamente gli spazi da esplorare riescono ad avvicinarsi molto al modo in cui i luoghi appaiono nella nostra memoria: ambienti spesso spogli o semivuoti, in cui però risaltano pochi, centrali, aspetti importanti. Julián Palacios Gechtman fa un ottimo lavoro nel rappresentare i ricordi, afferrando istintivamente la loro caratteristica principale. Quando si prova a ricordare un qualsiasi momento che si è vissuto o un luogo di cui si è sentito parlare, è praticamente impossibile che venga in mente la scena nella sua interezza, è probabile anzi che gran parte degli elementi che ne fanno parte vengano dimenticati. Ciò che rimane indelebile sono invece dettagli all’apparenza insignificanti come il colore dei panni stesi in balcone, una scritta su un’insegna di un negozio, o la consistenza della farina quando ci abbiamo immerso le mani mentre la nonna cucinava. Questo tratto tipico dei ricordi viene rappresentato fedelmente in Promesa grazie all’abbinamento di una grafica a bassa risoluzione ed una luce iperrealistica.

L’estetica, che è tra l’altro l’aspetto più originale e forse meglio riuscito del gioco, si adatta perfettamente al tentativo dello sviluppatore di trasformare un immaginario in uno spazio fisico esplorabile: se la grafica restituisce l’inafferrabilità tipica dei ricordi, la luce li rende vivi e realistici. Nella camera da letto della casa del nonno, ad esempio, notiamo qualche foto sparsa sulla scrivania, di quelle che gli anziani guardano e riguardano mille volte. C’è una valigia consumata usata probabilmente per viaggi lunghi e frequenti, o forse per emigrare. Qualche libro e qualche quadro appoggiato alla parete. Per il resto, la stanza sembra abbandonata, svuotata. Anche l’Hotel de Inmigrantes a Buenos Aires, che oggi è un museo che racconta l’epopea dell’immigrazione verso l’Argentina, nei ricordi del nonno appare come un monolite grigio circondato dal mare. Ciò che salta subito all’occhio sono invece dei vestiti appesi che si muovono al vento e la luce che si riflette sullo specchio d’acqua. Ciò che rende viva la scena non è l’edificio protagonista dell’immagine, ma i piccoli dettagli che lo circondano, perfettamente illuminati.

Promesa (Fonte: press kit)

Nel nostro paese il rito del racconto degli anziani assume un’importanza particolare, vuoi perché i nonni ci tengono spesso con loro da bambini o perché alcuni di noi vivono con loro da una vita. Molti dei nostri ricordi d’infanzia sono legati ai nonni, alla loro casa e alle loro storie. Proprio per questo motivo, noi italiani possiamo godere del gioco in maniera estremamente personale ed essere ancora più coinvolti emotivamente. Per noi l’incontro tra generazioni ha il sapore del quotidiano, e i dettagli vividi del gioco ce lo ricordano. Alcune delle ambientazioni di Promesa sono infatti la trasposizione di luoghi realmente esistenti in Italia e in Argentina. Il tavolo di plastica nel cortile ci fa venire in mente la noia di un pomeriggio estivo passato a giocare a carte, una cena in famiglia, o un caffè col nonno. La cucina perfettamente ordinata ci fa pensare ai pranzi della domenica cucinati dalla nonna, allo zerbino arrotolato appoggiato al muro, al profumo del giorno delle pulizie nel palazzo. Oltre all’atmosfera e all’elemento visivo, anche le parole del nonno sono declinabili in dei ricordi comuni a tutti noi: l’infanzia trascorsa nel paesino, il trasferimento nella grande città, l’emigrazione negli Stati Uniti o in un paese del Sud America.

In uno degli intermezzi tra una scena e l’altra il nonno dice: “Sono arrivato a un’età in cui sto cercando di fare in modo che le cose che so non se ne vadano via”, ma è evidente che certe cose inizino a sfuggirgli, e che intrappolare i suoi ricordi nella memoria del nipote sia l’unico modo per farli continuare a vivere. Oggi, in un mondo profondamente cambiato rispetto a quello in cui i nostri nonni hanno vissuto, grazie a piattaforme come Unity e Steam anche i progetti videoludici più piccoli possono essere realizzati e i racconti personali come Promesa essere tramandati anche al di fuori delle singole famiglie. Così sempre più spesso i videogiocatori hanno la possibilità di far provare esperienze, far rivivere storie che anche solo pochi anni fa sarebbero rimaste inespresse, perdute insieme alla memoria di chi le raccontava. Riproporle invece è estremamente importante perché, oltre a offrirci uno spaccato su una realtà intima, ci ricordano che solo un paio di generazioni fa le vite dei nostri avi erano completamente diverse dalle nostre, spesso segnate da guerre e migrazioni. L’insieme di questi ricordi, di queste storie, del resto, formano la memoria collettiva di intere comunità, o addirittura paesi. Viverle ancora una volta, oltre che farci imparare cose nuove, è essenziale per capire meglio noi stessi.