The Art of Point-and-Click Adventure Games

Il nuovo libro di Bitmap Books racconta più di trent'anni di avventure grafiche.

Il libro, partito da Birmingham il 17 settembre, arriva a Roma tre giorni dopo. Non posso fare a meno di chiedermi quali avventure abbia vissuto durante il viaggio, ma quali che fossero le avversità, noto che le ha potute affrontare avendo dalla sua parte un imballaggio semplicemente perfetto e a prova di magazzinieri a tre teste o di corrieri di bassa morale. Il libro in questione è The Art of Point-and-Click Adventure Games e la prima cosa che mi colpisce, l’attenzione riservata alla fase di spedizione, è stata per l’editore, Bitmap Books, solo l’ultimo passaggio nella cura di quella che è la sua più recente pubblicazione. Posso immaginare tutti i passaggi precedenti: la scelta dei materiali, della stampa, della rilegatura, della copertina cartonata e della carta plastificata delle pagine di questo grosso volume, che ne conta più di 400; e poi certo la raccolta dei contenuti, di tutte le schermate e le interviste necessarie a coprire in maniera esaustiva più di trent’anni di storia di questo glorioso genere videoludico.

(Credits: Chris Daw)

Bitmap Books è un editore di primaria importanza per gli appassionati di retrogaming e di storia dei videogiochi, ed è conosciuto soprattutto per la sua serie Visual Compendium, che ha finora visto uscire volumi dedicati a Commodore 64, Commodore Amiga, Sinclair ZX Spectrum, NES e SNES. Di recente un altro volume, Super Famicom: the Box Art Collection, è stato acquisito nella collezione permanente della biblioteca del museo di design V&A Dundee. E in effetti l’intero catalogo, i cui titoli vengono periodicamente ristampati, si caratterizza per l’ampio spazio lasciato alla componente visiva. The Art of Point-and-Click Adventure Games non fa eccezione da questo punto di vista, pieno com’è di immagini, ma si differenzia sotto un altro profilo: per la prima volta viene proposto un percorso che non si limita a una singola macchina, a un solo sistema e alla sua epoca, ma segue invece anno dopo anno l’evoluzione di un genere, quello delle avventure grafiche, dalla nascita fino alla contemporaneità.

(Credits: Chris Daw)

Nelle ultime pagine si trovano dunque giochi molto recenti come The Lion’s Song, di cui abbiamo parlato qui su Ludica alcuni mesi fa, o The Darkside Detective, che è diventata una delle mie avventure grafiche preferite di sempre, e sta per ricevere un seguito. Ci sono poi i titoli di Daedalic Entertainment e di Telltale Games, o i giochi più nostalgici che provano e rievocare le atmosfere delle avventure classiche, come Thimbleweed Park o Broken Age. Naturalmente la maggior parte del libro si occupa proprio degli anni d’oro delle avventure grafiche, che a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 furono per il gaming su PC il genere per eccellenza, esattamente come i platform per il gaming su console. Largo spazio dunque alle produzioni di Sierra con i vari capitoli di King’s Quest, Police Quest, Space Quest, Gabriel Knight e Leisure Suit Larry, e di Lucasfilm Games (successivamente LucasArts) con Loom, Maniac Mansion, Zak McKracken and the Alien Mindbenders, The Secret of Monkey Island, The Day of the Tentacle, Sam & Max: Hit the Road, Full Throttle, The Dig, Grim Fandango.

(Credits: Chris Daw)

Sulle spalle dei giganti c’erano poi tante altre software house di primo piano: Core Design, che prima di creare Tomb Raider e il personaggio di Lara Croft, attraversò il mondo dei punta-e-clicca con Curse of Enchantia e Universe; Westwood Studios, principalmente nota per aver cambiato la storia della strategia in tempo reale prima con Dune II e poi con Command & Conquer, che pure pubblicò molte avventure, come la serie di The Legend of Kyrandia e in seguito Blade Runner; Revolution Software, che dopo Lure of the Temptress e Beneath a Steel Sky portò le avventure grafiche in una nuova dimensione con il primo Broken Sword. Nel libro trovano poi spazio altri classici come Myst, Discworld e Simon the Sorcerer, ma anche titoli meno noti che adesso non vedo l’ora di provare. Scopro ad esempio che Eric Cahi, prima di mettersi in proprio con l’indimenticabile Another World, aveva realizzato la grafica dell’avventura francese Future Wars, incentrata sui viaggi nel tempo.

(Credits: Chris Daw)

The Art of Point-and-Click Adventure Games è un libro talmente completo da proporsi come una perfetta guida al genere per disparate tipologie di lettori: da quelli che si immergono per la prima volta in tale importante pezzo di storia videoludica a quelli che hanno a suo tempo giocato o almeno sentito parlare di ogni singolo titolo trattato, passando per tutte le vie di mezzo. È merito delle decine di interviste con gli autori di questi giochi: chi li ha programmati, chi ha scritto le trame e i dialoghi, chi si è occupato delle animazioni e degli sfondi. Ogni sequenza di domande e risposte copre l’intera carriera dell’intervistato, partendo dalle circostanze che lo hanno portato a lavorare nel mondo dei videogiochi e procedendo tra aneddoti, ricordi, aspetti tecnici, rimpianti e aspirazioni. Non c’è una sola intervista che non proponga qualcosa di interessante o sorprendente.

(Credits: Chris Daw)

Ecco dunque, per concludere, un breve campionario di cinque cose che non sapevo o che avevo dimenticato di sapere o che avevo provato a dimenticare e che si trovano tra le pagine di The Art of Point-and-Click Adventure Games, insieme a infinite altre:

  • Broken Sword è stato ispirato dalla lettura de Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco; Maniac Mansion dalla visione di Creepshow di George Romero; Thimbleweed Park invece non è stato ispirato da X-Files.
  • per quanto improbabile possa sembrare, Beneath a Steel Sky contiene riferimenti a Saddam Hussein.
  • il capitalismo fa schifo: a Ron Gilbert piacerebbe realizzare un nuovo capitolo di Monkey Island, ma non può perché i diritti ora appartengono alla Disney.
  • Indiana Jones and The Fate of Atlantis avrebbe potuto essere un gioco su Excalibur anziché su Atlantide: indecisi sull’oggetto delle ricerche del famoso archeologo, gli sviluppatori scelsero il tema che gli avrebbe permesso di girare il mondo piuttosto che restare entro i confini della Gran Bretagna.
  • Ridley Scott non si è mai interessato al videogioco di Blade Runner. Steven Spielberg era invece un appassionato di videogiochi e seguì lo sviluppo di Indiana Jones and The Last Crusade, per poi farsi coinvolgere ancora di più diventando uno degli autori di The Dig; qui mi piace vedere una sorta di passaggio di consegne, perché se il cinema è stato l’arte del XX secolo, il videogioco lo sarà del XXI, e sfogliare le pagine di un qualsiasi libro di Bitmap Books è un modo facile per capirlo.