The Talos Principle 2: tanta storia per nulla

Un puzzle game in cui si parla tantissimo.

Il successo di The Talos Principle si può riassumere in due fattori: rompicapi ben congegnati, e una storia ricca di riferimenti religiosi e filosofici, volutamente criptica e anche vagamente elegiaca, se vogliamo, su un’umanità ormai estinta di cui possono aver memoria, ormai, solamente i robot. Croteam ha pensato che per dare un seguito a quel gioco potesse essere una buona idea proporre un more of the same con più rompicapi, e una storia più ricca. È una formula semplice che spesso funziona, ma stavolta l’impressione è che non tutto sia andato per il verso giusto.

Partiamo dall’inizio, che è folgorante. Le prime sequenze di The Talos Principle 2 sono esattamente identiche al gioco precedente: stessa ambientazione, stesso materiale a disposizione per risolvere i puzzle, stessa voce, quella di Elohim, ad accompagnare le azioni del giocatore. Ben presto si scopre la vera natura di quello scenario: si tratta di ciò che sognano i robot—non pecore elettriche, dunque—prima della loro attivazione e poi a ogni successivo spegnimento. È una grande idea, che funziona su molteplici livelli: all’interno della serie, ricontestualizza completamente cosa fosse il primo gioco; parlando di game design, fornisce un tutorial a vecchi e nuovi giocatori inserendolo con naturalezza nella trama; considerata sotto l’aspetto narrativo, è una perfetta introduzione a ciò che accadrà subito dopo, con l’ingresso di 1K a New Jerusalem.

Quando un robot finisce il suo apprendistato onirico e apre finalmente gli occhi, infatti, si trova in una città creata da una nuova civiltà di automi; è previsto che ne vengano attivati mille, e dunque il giocatore, 1K, è come suggerisce il nome l’ultimo chiamato a parteciparvi. Non si fa neanche in tempo a pensare di aver chiuso con i puzzle, che la scoperta di misteriose strutture, e una missione di esplorazione per capirne l’origine e lo scopo, rivela una quantità di altri rompicapi da risolvere. Diciamolo subito: il design di questi puzzle è di alto livello. Ogni area da esplorare introduce nuovi strumenti e nuove meccaniche, presentando inizialmente dei rompicapi piuttosto semplici da risolvere e alzando poi progressivamente il livello di sfida. Spesso si ha l’impressione di potersela cavare facilmente se solo si avesse a disposizione uno strumento in più, e invece spremendosi un po’ le meningi si scopre di poterne fare a meno. I puzzle son sempre soddisfacenti; è la componente narrativa che li accompagna, invece, a diventare velocemente irritante.

The Talos Principle 2 (Fonte: press kit)

L’introduzione di The Talos Principle 2 a conti fatti è la prima e ultima parte del gioco in cui storia e puzzle vanno a braccetto; dopodiché, si matura velocemente il desiderio di essere lasciati in pace, di essere lasciati soli a vagare, risolvendo rompicapi per il semplice gusto di farlo. Invece abbiamo sempre intorno i nostri compagni di viaggio, che non solo non si rivelano utili per niente (li vediamo perlopiù andarsene a passeggio a “raccogliere dati” mentre noi ci spacchiamo il cervello sui vari puzzle), ma non tengono mai la bocca chiusa: hanno sempre qualcosa da raccontare, da chiedere, parlano a noi, parlano tra loro, e non capita mai che abbiano da dire qualcosa di interessante. Non bastassero i dialoghi, sono attivissimi anche a scrivere e chattare sul loro social network. Di cosa parlano? Alla fine il tema è sempre uno: la direzione che la civiltà robotica dovrebbe prendere. Espandersi oppure no? Esplorare il mondo o restare nella città? Produrre altri automi o fermarsi a mille? Assecondare il desiderio di conoscere, o quello di non fare gli stessi errori degli umani? Questo tipo di questioni, che vorrebbero essere un po’ il riflesso dei nostri stessi dubbi, nel mondo reale e nell’era dell’Antropocene, si dimenticano di dover essere possibilmente anche il riflesso del gameplay.

Se la moltiplicazione dei puzzle e delle relative meccaniche di gioco non può che essere benvenuta, c’è parecchio da dire su cosa non funziona nella parallela espansione dell’impianto narrativo. Un primo problema è l’atmosfera: il mondo del primo gioco era misterioso, e attraverso il dialogo con un’unica e immateriale entità chiamata Elohim si costruiva pian piano uno spazio metafisico, intimo e di riflessione, in cui era possibile immergersi e trovare un senso al succedersi dei puzzle. The Talos Principle 2, con il suo ampio cast di personaggi e la loro incontenibile verbosità, non riesce a conservare quasi nulla di quel fascino.

Un secondo problema sono i temi trattati: la buona filosofia è difficile da trovare persino nella storia del pensiero, figurarsi in quella videoludica. È fuor di dubbio che possano esistere videogiochi filosofici: si tratta, dopotutto, di un ottimo mezzo per dare forma a vari tipi di esperimenti mentali. Usare il medium videoludico per porre domande sui massimi sistemi prive di senso, inutili o mal poste (“è più importante la vita o la verità?”), invece, non sarà mai una grande idea. The Talos Principle 2 vorrebbe essere profondo ma fa solamente disperare, al pensiero che l’umanità, giunta alla fine dei propri giorni, sia stata capace di lasciare come eredità solo un gruppo di scoppiati—automi in fissa con la tradizione religiosa giudaico-cristiana e con la mitologia greca che chiamano la propria città New Jerusalem e si danno nomi come Athena, Cornelius, Eustathius o Melampus. Sono robot che parlano del fallimento dell’umanità e ne sembrano l’esempio più tragico e lampante; si arriva presto a tifare anche per la loro estinzione.

The Talos Principle 2 (Fonte: press kit)

Per il terzo problema sarà utile una breve digressione. Agli albori del cinema, non era per niente chiaro che quello cinematografico sarebbe stato un medium adatto a raccontare storie, per una semplice ragione: era ancora complicato usarlo a quello scopo. Non esistevano una teoria e una pratica del montaggio, e ci sarebbe voluto del tempo per l’invenzione del sonoro. Oggi è scontato che un film racconti una storia; lo è al punto che, quando non lo fa, si parla di cinema sperimentale, o direttamente di videoarte. Anche i videogiochi—da Pong a The Witcher 3—hanno goduto di un’evoluzione tecnologica che ne ha allargato le possibilità narrative; ma questo non vuol dire che in un videogioco raccontare una storia sia sempre necessario, o la scelta migliore. The Talos Principle 2 è un caso esemplare in questo senso, perché non aveva chiaramente alcun bisogno di un grande lavoro di scrittura—buona o cattiva che fosse—per essere comunque uno dei migliori rompicapi dell’anno. Non ci troviamo di fronte a quel tipo di gioco (mettiamo: Pentiment) la cui riuscita è strettamente legata alla qualità della narrazione. Forse però a questo ragionamento manca ancora un pezzo: oltre che alla riuscita dell’opera, dovremmo pensare pure al suo successo commerciale.

Ci troviamo in una fase in cui non si dà ancora per scontato che un gioco, come un film, debba raccontare una storia; ma, dal punto di vista commerciale, è preferibile che lo faccia. Croteam dunque ha preso una certa direzione con un obiettivo preciso: The Talos Principle 2, con una storia qualsiasi, si mette comunque nella posizione di raggiungere un pubblico più ampio di quello che avrebbe avuto un sequel basato solo sui puzzle. È la natura partecipativa del medium videoludico e di ogni medium nella contemporaneità; è l’irresistibile attrazione della lore, da tanti sviscerata infatti su Steam, su Reddit e sui forum a suon di ipotesi, analisi e interpretazioni. Perciò, alla fine, di cosa lamentarsi? Chi gioca solamente per la sfida sopporterà di buon grado una storia insulsa per godersi dei rompicapi di ottima fattura; e chi va in cerca di lore completerà il gioco guardando le soluzioni dei puzzle su YouTube e prestando attenzione a ogni linea di dialogo.

Perciò si potrebbe semplicemente concludere che sarebbe stato auspicabile trovare in questo gioco una scrittura migliore; ma l’evidente frattura tra narrazione e gameplay è, per paradosso, più stimolante ancora. Questa storia strampalata, poco interessante e mal collegata al gameplay ci racconta benissimo, se non altro, la propria genesi: è lì perché ce ne doveva essere una; è lì perché è così che funziona, così si riesce a stimolare engagement e produzione di contenuti da parte degli utenti; ha poco senso e mischia troppe cose che faticano a stare insieme perché è anche meglio; e se non è certo una novità che nella progettazione di un videogioco certi aspetti siano ormai da tenere in grande considerazione (quanto è ricca la lore? Il level design si presta alle speedrun? Can you pet the dog?), qui ci troviamo di fronte a un caso davvero troppo sfacciato: una considerevole porzione dell’opera viene dedicata, in sostanza, a servire scopi esterni/estranei al gioco stesso, come alimentare la lore del franchise o produrre contenuti in rete. Mentre fallisce nel farci riflettere sui temi filosofici che vorrebbe affrontare, The Talos Principle 2 riesce a darci molto da pensare sullo stato attuale e sul futuro del medium videoludico. Quanto tempo ci resta, prima che un videogioco privo di una storia diventi inconcepibile?