Yikes forever, Little Misfortune

La nuova avventura grafica di Killmonday Games ci riporta nell'universo narrativo di Fran Bow.

Cantavano i Fine Before You Came in un disco di dieci anni fa “ho chiamato i miei insuccessi sfortuna”, e certamente esiste questa forma di autoindulgenza. C’è poi però la sfortuna più propriamente detta, quella comparativa derivata dal nascere in condizioni sociali e famigliari difficili, avendo ad esempio un padre violento e magari coinvolto in traffici di droga, e una madre alcolista, così come pure quella puntuale per cui si scivola, si cade, ci si fa male in continuazione. Quella della protagonista di Little Misfortune, come suggerisce il suo stesso nome, è una sfortuna totale, che comprende tutte le precedenti, e non solo: a quanto pare, facciamo la sua conoscenza proprio nel giorno che potrebbe concludersi con la sua morte, nonostante si tratti di una bambina di otto anni. Il nuovo gioco di Killmonday Games riprende dunque le tinte scure del precedente Fran Bow—avventura grafica fortunatissima e in qualche modo già canonizzata con l’inserimento nel fondamentale volume The Art of Point-and-Click Adventure Games—e va ad alimentare peraltro il medesimo universo narrativo.

Little Misfortune (Fonte: press kit)

Saremmo tuttavia completamente fuori strada pensando a Little Misfortune come a un sequel, perché le differenze tra i due giochi sono tante e importanti, a partire dalla rinuncia a immagini esplicitamente violente o splatter. “Fran Bow è stato realizzato in un altro momento della nostra vita, un periodo che è stato molto peggiore personalmente, e nel quale dovevamo ancora crescere come persone”, mi racconta Isak Martinsson, principale sviluppatore del gioco insieme a sua moglie Natalia Martinsson. “Dopo l’uscita di Fran Bow abbiamo imparato molto e abbiamo iniziato a vedere le cose sotto una luce diversa. Quando abbiamo iniziato a scrivere Little Misfortune volevamo raccontare un altro genere di storia, che avrebbe avuto una sua atmosfera. Ci siamo accorti che molte persone rinunciavano a giocare a Fran Bow per via della quantità di sangue, e l’abbiamo considerato un po’ un fallimento, perché il gioco riguardava tutt’altro. Perciò in Little Misfortune abbiamo provato ad attenuare il tono, pur conservando un’oscurità da trovare tra le righe di questo mondo relativamente più felice”.

Attraversando questo mondo potremo calarci meglio nella storia e nel contesto, apprezzandone i tanti piccoli dettagli: le persone indossano una maschera con un sorriso per nascondere la loro tristezza, una volpe di cui Little Misfortune è innamorata, chissà perché, si aggira attachinando immagini di bambini scomparsi, criceti dalla vita dissoluta fanno baldoria sottoterra. Tutto questo viene reso su schermo con uno stile grafico molto personale e altrettanto studiato. “L’aspetto visivo doveva essere colorato ed eccentrico. Doveva sembrare un disegno fatto a mano, con composizioni semplici”, mi dice Isak Martinsson. “Per ottenere questo effetto, Natalia ha usato stili e tecniche differenti. Un mix di ritagli, acquerelli e tempere. E dato che tutto doveva essere disegnato con la stessa angolazione, Natalia ha aggiunto alcune modificazioni prospettiche a sfondi e oggetti, in modo da poter identificare subito le parti più importanti. Una delle maggiori fonti di ispirazione è stata la città in cui ci siamo trasferiti tre anni fa, Hedemora, in Svezia. Qui ci sono colori meravigliosi in autunno, le strade sono piccole e pittoresche. E c’è una quantità impressionante di uccelli neri che volano in giro. Molte delle case che puoi vedere nel gioco esistono in questa città”.

Little Misfortune (Fonte: press kit)

Le possibilità di interazione sono comunque molto limitate: Little Misfortune, diversamente da Fran Bow, non è un punta e clicca, si raccolgono oggetti ma non si dispone neppure di un inventario, ci si sposta piuttosto da un punto all’altro risolvendo semplici puzzle, e seguendo più che altro la storia. “Crescendo, il tempo diventa un bene di lusso”, spiega Isak Martinsson. “Non abbiamo più il tempo di giocare a un videogioco per ore, e dato che gli unici giochi che possiamo giocare sono quelli corti, ci siamo adeguati. Lo abbiamo avuto sempre in mente nel corso dello sviluppo, volevamo fare un gioco che potesse essere completato in un pomeriggio dopo lo studio o il lavoro, e costituisse comunque una bella esperienza, capace di lasciare impresso qualcosa una volta terminata. Che questa impostazione potesse funzionare è rimasta comunque un’incognita, abbiamo dovuto aspettare il responso dei giocatori, vedere le loro reazioni! È stato terrificante il momento della pubblicazione, ma siamo contenti del risultato finale e dell’impatto che il gioco ha già avuto”.

Su Instagram, su Tumblr, su Twitter, si trovano in effetti già moltissimi esempi di fan art, disegni e cosplay ispirati a Little Misfortune. In un’avventura così incentrata sulla narrativa, infatti, indovinare la figura della protagonista diventa fondamentale, e Little Misfortune è adorabile: le piace ballare, disegnare, lanciare brillantini per rendere inoffensive le brutture del mondo, ama esclamare “yikes forever!” e ripetere “I am a little lady, you know” e ogni tanto le scappa qualche parolaccia, e nel caratterizzarla contribuisce molto la voce che le dà Natalia Martinsson. “Il personaggio l’ho scritto inizialmente io”, mi rivela Isak Martinsson, “basandomi sul modo in cui vedo Natalia, ma in maniera leggermente esagerata. Dopo aver letto la prima bozza della sceneggiatura Natalia ha disegnato l’aspetto di Little Misfortune, che non è mai davvero cambiato in seguito. Una volta, leggendo le battute, Natalia ha usato una voce particolare e ho suggerito che quella sarebbe dovuta essere la voce di Little Misfortune, perché era perfetta per il personaggio e per il suo carattere. Dopo di ciò abbiamo riscritto la sceneggiatura da capo altre quaranta volte, per assicurarci che tutto risultasse il più naturale possibile. Natalia leggeva sempre con la voce di Little Misfortune, in modo che le parole scritte suonassero corrette una volta registrate. Abbiamo passato un anno intero a scrivere, prima di iniziare a registrare le voci”.

Little Misfortune (Fonte: press kit)

Le voci, al plurale: perché l’idea più interessante del gioco è l’inserimento di un personaggio presente solo con la propria voce, a metà strada tra narratore più o meno onnisciente e demolitore della quarta parete. Si rivolge direttamente sia al giocatore che a Little Misfortune, apparendo sin dal principio quantomeno sospetto, e via via sempre più inquietante. È lui a guidare la trama e ad alimentare il perturbante all’interno del gioco, mettendo il giocatore nella scomoda posizione di colui che deve far fare alla protagonista ciò questa voce così poco affidabile ingiunge di farle fare. Little Misfortune, sin dalle prime battute del gioco, lo nomina Mr. Voice. “Volevamo avere un personaggio che fosse direttamente in comunicazione con il giocatore”, mi dice a questo riguardo Isak Martinsson, “in modo da fargli comunicare segreti, e stabilire una connessione emotiva”. È Mr. Voice, infatti, a dirci quasi subito che Little Misfortune probabilmente morirà entro la fine della giornata. Mr. Voice “controlla il gioco e ama avere un comportamento manipolatorio, ma non è del tutto in controllo di Little Misfortune”, e il giocatore infatti può godersi qualche sano momento di ribellione all’interno di questa dinamica perversa. “È un personaggio molto complesso, di cui probabilmente sapremo di più in futuro”. La fine del gioco arriva un po’ all’improvviso, e lascia molte questioni in sospeso, anche relativamente all’universo narrativo: cosa hanno realmente in comune Fran Bow e Little Misfortune? Data la qualità di entrambi i giochi, sarà un piacere scoprirlo nelle prossime produzioni di Killmonday Games.

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Little Misfortune