2023: le migliori colonne sonore dei videogiochi

Dieci titoli da giocare che sono belli anche da ascoltare.

Alcune settimane fa mi sono accorto per caso che l’articolo sulle migliori colonne sonore del 2018 è uno dei dieci più letti di sempre su questo sito. Non potendo resistere alla tentazione di dare al pubblico di Ludica ciò che vuole almeno una volta ogni cinque anni, mi sono messo subito a compilare questa lista. La musica, ovviamente, è solo una parte di un videogioco (o di un film), perciò questo tipo di selezione è sempre particolare: il risultato dipende dal gusto personale di chi se ne occupa, ma c’entrano anche i criteri adottati, il punto di vista, l’approccio al medium. Per esempio: per apprezzare una colonna sonora, quanto bisognerebbe ignorare l’opera da cui è tratta?

La mia impressione è che i siti di musica (come Pitchfork o A Closer Listen) tendano a trascurare l’opera videoludica e a considerare autonomamente le colonne sonore molto più volentieri rispetto ai siti di videogiochi, e questo non è necessariamente un male, ma neanche un bene. (Di sicuro considerare la musica autonomamente è il modo migliore per evidenziarne il valore, ma è anche vero che una colonna sonora si può ritenere riuscita proprio nella misura in cui rende indissolubile l’associazione con’opera per la quale è stata scritta.) Chiedere di scegliere a compositrici e compositori di colonne sonore di videogiochi, come ha fatto Video Game Chronicles, può portare a un maggiore equilibrio, ed è in ogni caso interessante conoscere le motivazioni degli addetti ai lavori, ma il risultato è inevitabilmente una selezione di nessuno, senza una visione unitaria. Insomma, è un affare complicato; ad ogni modo, queste sono le mie 10 colonne preferite del 2023—in ordine alfabetico.


Blasphemous 2

Valeva per il primo Blasphemous e vale anche per questo sequel: il segreto del successo del metroidvania di The Game Kitchen passa per la capacità di immergere chi gioca in un’ambientazione molto particolare, ispirata alla Spagna cattolica del sedicesimo secolo. Per capire cosa sia Blasphemous—pure senza averlo mai giocato, senza nemmeno aver visto un video—è in fondo sufficiente il suo vocabolario: il Penitente, il Miracolo, la Fratellanza del Dolore Silenzioso, la Culla dell’Afflizione, la Pala dei Favori, le Lacrime di Redenzione, i Marchi del Martirio, la Città del Nome Benedetto, e così via. Con una caratterizzazione così particolare e ben riuscita il principale compito di una colonna sonora può anche essere semplicemente quello di non far danni, ma le musiche composte da Carlos Viola, già responsabile di quelle del primo capitolo, fanno qualcosa di più, dando un importante contributo all’atmosfera. Fondamentale, in tal senso, la scelta di un musicista con un background nella musica popolare iberica che, partendo da autodidatta come suonatore di bandurria (una chitarra tipica, simile al mandolino), è diventato l’autore delle colonne sonore della più fortunata serie nella storia videoludica spagnola.


Chants of Sennaar

In una delle opere videoludiche più originali del 2023, il vostro compito è decifrare una lingua inesistente—o per meglio dire: inventata appositamente per questo titolo. Chants of Sennaar, insieme a Terra Nil, mi sembra il miglior esempio recente di quanto sia maturato negli anni quel brutto concetto che è il cosiddetto edutainment (un pensiero per quei bambini che negli anni Ottanta hanno trovato sotto l’albero di Natale un regalo infame tipo Donkey Kong Jr. Math): di come, cioè, si sia passati dall’idea di dover scontare una colpa gamificando magari una lezione di matematica (“perdi tempo con i videogiochi, ma almeno stai imparando qualcosa!”), alla piena comprensione di come il game design possa servire uno scopo educativo. Certo, imparare la lingua di Chants of Sennaar non vi aprirà realmente le porte di una nuova cultura e di un altro modo di pensare come, per dire, imparare il giapponese. Richiederà comunque un po’ di ginnastica mentale e un certo sforzo di immaginazione, non troppo diverso da quello che ha dovuto fare Thomas Brunet per comporre la colonna sonora: «Immaginare le espressioni musicali di culture immaginarie con secoli o millenni di evoluzione alle spalle era la sfida più affascinante che potessi desiderare, e spero di essere stato all’altezza del compito».


Jusant

Non è il mio gioco preferito dell’anno e non è nemmeno il gioco che ho trovato più bello da vedere, o più stimolante, o più divertente. Jusant però è l’unico gioco del 2023 ad avermi dato l’impressione di andare a occupare un posto preciso nella storia del medium videoludico; e nel suo piccolo, a cambiarla. È davvero raro avere una sensazione del genere. Nei giochi, di solito, se ci si deve arrampicare si preme un pulsante. In Jusant, il cui gameplay è tutto incentrato sull’arrampicata, un pulsante gestisce il solo uso della mano sinistra; un altro, di quella destra; con un altro ancora, si piantano i chiodi nella roccia là dove mancano appigli a cui aggrapparsi. Gli sviluppatori, dunque, hanno preso un’azione e hanno isolato i singoli movimenti che la compongono, assegnando a ciascuno di essi un input diverso. Sembra complicatissimo e invece il risultato è fluido e naturale, e appagante. C’è persino chi si è chiesto se in futuro una serie come Tomb Raider—uno dei pesi massimi della storia videoludica, dove ci si arrampica spesso—potrà ignorare l’esistenza di Jusant. La risposta probabilmente è sì, per ragioni di accessibilità, ma la domanda resta pertinente, e soprattutto mette in evidenza la portata delle meccaniche introdotte da questo gioco. La colonna sonora di Guillaume Ferran è piena di brani ambient adatti ad atmosfere rarefatte.


Pizza Tower

Vi sarà forse capitato di non aver mai sentito la mancanza di qualcosa, e poi di essere arrivati a un momento in cui l’esistenza di quella cosa vi è stata improvvisamente ricordata, spalancando le porte alla nostalgia. A me è successo con Pizza Tower, che è un gioco a piattaforme irruento, chiaramente ispirato al primo titolo Nintendo con Wario come protagonista. La nemesi di Mario, prima di diventare un magnate dei mini-giochi con la sua azienda WarioWare Inc., andava a caccia di ricchezze su Game Boy in Wario Land: Super Mario Land 3 (1994). Il gameplay unico di quel gioco ha iniziato a mancarmi proprio nel momento in cui Pizza Tower è tornato a riproporlo—può sembrare strano, però magari è proprio così che funziona il rimpianto. Vale anche per i retro-shooter rispetto a classici di id Software come Doom o Quake, o per gli zelda-like rispetto ai capitoli della serie originale con la visuale dall’alto: può sembrare che sfruttino la nostalgia, e invece forse la creano. Comunque sia: in Pizza Tower siete un pizzaiolo italiano di mezza età che si chiama Peppino Spaghetti—è un gioco che non ha paura di niente, figurarsi degli stereotipi—e la colonna sonora sostiene l’azione frenetica con una successione di banger, da intendersi qui, volendo, sia nel significato di “pezzone”, sia in quello di “salsiccia”. Sarà presto disponibile anche in vinile.


Saltsea Chronicles

Die Gute Fabrik è uno degli studi—non sono pochi, ma nemmeno tantissimi—sui quali si potrebbe costruire una politique des auteurs videoludica, per il modo in cui ogni loro gioco sembra essere un tassello che va a inserirsi in un unico discorso, aderendo a una precisa visione del mondo. Un tema ricorrente, che dopo Mutazione troviamo anche in Saltsea Chronicles, è l’idea di comunità. In un gioco in cui si naviga da un’isola all’altra, ci si potrebbe aspettare di giocare nel ruolo di chi comanda—invece qui la capitana è sparita, e non arriva qualcun altro a sostituirla: si controlla piuttosto l’equipaggio, che cerca di risolvere il mistero della sua scomparsa. Si guida dunque un collettivo, e scegliere quali personaggi sbarcheranno di volta in volta sulle varie isole influenzerà il corso degli eventi, che si svolgono peraltro in scenari post-apocalittici. Non è però un mondo segnato dalla distruzione, quanto dalla fiducia e dalla speranza legati al compito della ricostruzione, dopo il disastro provocato dal cambiamento climatico—un tema che lo studio prende molto sul serio, tanto da aver prodotto un documento in cui stima l’impatto della realizzazione dello stesso Saltsea Chronicles. La colonna sonora è affidata alle esperte mani di Eli Rainsberry, già autrice delle musiche di Wilmot’s Warehouse, A Monster’s Expedition e No Longer Home.


Sea of Stars

È strano per me inserire qui la colonna sonora di un titolo che avrei voluto amare, ma ho invece abbandonato dopo poche ore di gioco. L’opera seconda e molto attesa di Sabotage Studio, già responsabile di The Messenger, da quanto si legge in giro non ha deluso le aspettative: sono io che evidentemente ho un problema con gli RPG a turni. La ripetitività degli scontri mi sfianca, non sopporto il modo in cui i nemici e i combattimenti finiscono col rappresentare una costante interruzione nell’esplorazione e nel progresso della trama, e non riesco proprio a fare a meno di chiedermi a più riprese “delle tremila cose che potrei fare in questo momento, perché sto facendo proprio questa?”, e insomma, se mentre giochi ti vengono in mente pensieri del genere, con ogni evidenza hai solo scelto un titolo che non fa per te. Prima di abbandonare Sea of Stars, però, ho fatto in tempo a innamorarmi della direzione artistica, con una pixel art di altissimo livello, e della colonna sonora, a metà tra il nostalgico e il filologico: Eric W. Brown l’ha composta con la collaborazione di Yasunori Mitsuda, che partecipò a quella di Secret of Mana (1993), e fu l’autore principale di quella di Chrono Trigger (1995), due autentiche pietre miliari del genere.


Tchia

A volte i videogiochi possono essere occasioni per conoscere culture lontane; e possono esserlo, ancor prima che per chi li gioca, per chi li realizza. Lo si capisce bene, ad esempio, dalle parole di John Robert Matz, che ha avuto l’opportunità di immergersi nei suoni e nella cultura della Nuova Caledonia per scrivere la colonna sonora di Tchia, un’avventura open-world tropicale ispirata a quei paesaggi: «Dalla bellezza dell’ambientazione, alla profonda storia musicale della Nuova Caledonia, alla possibilità di collaborare con cantanti e strumentisti straordinari, gli ultimi cinque anni di lavoro sono stati una vera gioia». Il materiale da lui raccolto era così abbondante da aver addirittura consentito la pubblicazione di un secondo album di “b-side”, che raccoglie i pezzi più distesi e rilassanti, affidati al sound design del collettivo A Shell in the Pit, specializzato in musica per videogiochi (il loro portfolio comprende titoli come Rogue Legacy, Untitled Goose Game, Chicory, Night in the Woods, Parkitect, Wandersong). Nella colonna sonora principale, invece, figurano anche diversi brani cantati nelle lingue locali della Nuova Caledonia, che stando a quanto riporta Wikipedia sono in tutto 28, alcune delle quali parlate solamente da poche centinaia di persone.


The Invincible

Questo pezzo si apriva con una domanda (“per apprezzare una colonna sonora, quanto bisognerebbe ignorare l’opera da cui è tratta?”) che ponevo senza avere alcuna risposta da dare; e non intendo certo proporne una adesso, a tradimento, in medias res. Di sicuro, però, se in questa lista c’è una colonna sonora che si potrebbe ascoltare come un qualsiasi album, dimenticando il gioco, si tratta proprio di quella di The Invincible. Se vi piace la musica ambient di ispirazione (fanta)scientifica—se a casa avete Apollo: Atmospheres and Soundtracks di Brian Eno, oppure On Time Out of Time di William Basinski—questo è infatti un disco che potreste tranquillamente ascoltare volentieri dall’inizio alla fine, trascurandone l’origine. Tutto ciò, senza nulla togliere al modo in cui i brani di Brunon Lubas—probabilmente il principale compositore polacco di musica per videogiochi, insieme ad Arkadiusz Reikowski—accompagnano perfettamente l’esplorazione di un mondo, quello inizialmente immaginato da Stanislav Lem nel suo romanzo, in cui i personaggi, e quindi i lettori, e infine nel nostro caso i giocatori, si troveranno di fronte a qualcosa di alieno nel senso più autentico del termine—di così alieno da far sembrare gli Xenomorfi di Alien quello che realmente sono: pupazzi.


Venba

Nel titolo di questa lista meno adatto a essere giocato a stomaco vuoto, ci troviamo nei panni di una donna indiana, Venba, che è emigrata in Canada con la sua famiglia negli anni Ottanta. Durante il viaggio, purtroppo, il suo libro delle ricette è rimasto danneggiato: compito di chi gioca sarà recuperarle e preparare deliziosi piatti della tradizione culinaria del sud dell’India, aiutando Venba e la sua famiglia a ritrovare una connessione con le proprie origini. Si tratta di un titolo breve, completabile nel giro di poche ore, col quale vi sarà facile stabilire un legame emotivo se siete andati a vivere lontano dal luogo in cui siete cresciuti, o se nella vita vi è mai capitato di perdere qualcosa e di faticare a ritrovarla. La semplicità del gameplay di Venba, basato sui dialoghi e sulla preparazione dei vari piatti, ha permesso la realizzazione di una colonna sonora inusuale nella misura in cui si compone principalmente di pezzi cantati—tra cui segnalo “Chellakutty”, cantato da Deva, una vera e propria leggenda del cinema Tamil: si dice che abbia composto le colonne sonore di più di 400 film. Non ho trovato riscontri per questo dato, ma il suo profilo IMDB ne conta 196, che sono comunque davvero tante.


Void Stranger

L’oggetto non identificato del 2023 ha tutte le sembianze di un rompicapo in stile Sokoban, sia per il gameplay sia per le sue schermate monocromatiche, che rimandano ai classici del genere per Game Boy; man mano che lo si gioca, però, si rivela essere tutt’altro. Iniziate risolvendo alcuni puzzle e finite col passare decine di ore tentando di decifrare i segreti di un gioco che, per quanto possiate andare a fondo, sembra sempre custordine degli altri. Consigliato se vi piacciono i puzzle game, ma anche se apprezzate le opere di Jonathan Blow o di Daniel Mullins, Void Stranger è un titolo che amerete soprattutto se avete una passione per entrambe le cose (o per le colonne sonore molto belle, naturalmente). In tal caso, preparatevi a passare parecchio tempo a prendere appunti con carta e penna, a navigare tra i forum cercando consigli e provando a evitare gli spoiler, a essere insomma completamente assorbiti dall’opera seconda dello studio finlandese System Erasure, forse addirittura a farne un’ossessione. Di questo gioco, incredibilmente, in Italia non ha parlato praticamente nessuno; è vero che per goderselo più si arriva impreparati meglio è, ma se volete saperne di più su cosa vi attende l’articolo migliore lo trovate, a mio parere, su Paste Magazine.