Presentato l’anno scorso come uno strategico “ideology driven” ambientato in una Rivoluzione francese steampunk, dove gli eserciti sono accompagnati da grossi robottoni che sembrano usciti dai manga di Go Nagai, Bonaparte – A Mechanized Revolution sembrava promettente. Chi non vorrebbe guidare una folla urlante “vive la révolution!” a bordo di un megazord?
Le prime ore di gioco sono abbastanza fedeli a questo approccio. Il gioco si apre con la presa della Bastiglia, dove si può decidere se sostenere il popolo o le guardie della prigione. Se si volta il proprio Colossi (nome molto accattivante) verso le guardie, si guadagna l’inimicizia del re e del partito dei monarchici, viceversa quella dei giacobini.
Finora tutto bene: c’è l’ideologia, c’è la strategia e ci sono i mecha. Il gameplay tiene insieme meccaniche prese qua e là da strategici di successo: la mappa divisa in regioni, ognuna con i suoi edifici da costruire e potenziare, e la gestione degli eserciti richiama i Total War ma, sul campo di battaglia, torniamo ai bei vecchi esagoni alla Civilization e a un sistema a turni. Il fatto che ci si ispiri fortemente ad altri giochi non è da demonizzare: si sa, il game design è fatto al novanta percento da scopiazzature e, in fondo, la mano dell’artista si vede nel modo originale in cui fa convivere queste anime.
Il lato ideologico, invece, sembra davvero innovativo. Regolarmente, dopo un numero di turni variabili, si riunisce la National Convention, dove possiamo proporre delle nuove leggi e metterle ai voti. A ogni riunione si votano tre proposte di legge, di cui la prima è obbligatoriamente presentata dal giocatore.

Ogni proposta è inserita in una scala tra due estremi e non si può mettere ai voti qualcosa di troppo lontano dalla situazione del momento. Se, ad esempio, solo i borghesi e gli aristocratici hanno diritto di voto, si potrà proporre di far votare anche il resto del popolo, ma non si potrà chiedere di togliere il diritto a tutti: bisognerà prima far accettare di limitare il voto ai soli aristocratici e poi, alla riunione successiva, si potrà proporre di annullare le elezioni.
Il numero dei seggi di cui si dispone dipende dal numero dei voti, influenzabili con la propaganda. Si può decidere, infatti, di tenere dei discorsi pubblici per aumentare i voti in una data regione, facendo scendere la popolarità di un’altra fazione a nostra scelta. Avere più seggi, poi, vorrà dire avere maggiore probabilità di vedersi approvate le leggi e, di conseguenza, avvalersi di bonus durante la partita, sbloccando anche nuovi tipi di azione (ad esempio, si potranno mandare gli ufficiali degli eserciti sconfitti alla ghigliottina solo se si è fatta approvare la legge corrispondente).
Le reazioni dei protagonisti alle proposte di voto sono varie. Non è scontato che i propri compagni di partito votino leggi loro convenienti se non sono d’accordo con l’ideologia che si cela dietro. Ad esempio, il generale LaFayette tenderà sempre a votare contro le proposte di vietare la libera circolazione della propaganda avversaria, anche se potrebbero aiutarlo a fermare la deriva estremista del popolo.
Dopo poche ore di gioco, però, i difetti iniziano ad emergere e le varie tendenze interne al gioco entrano in tensione fra loro, fino a staccarsi completamente e andare ognuna per le sue.

I vari personaggi sono troppo fedeli alle loro idee e votano sempre nello stesso modo, a prescindere dagli eventi che capitano nel gioco. Dal momento che non si può tentare di avere un dialogo con loro, magari cercando di fargli cambiare idea, l’unico modo che abbiamo per vedere accettate le nostre proposte sarà ottenere più seggi con la forza, che si tratti di conquistare altre regioni o fare più propaganda. Non molto “ideology driven“.
Missione, peraltro, piuttosto semplice: giusto per avere un’idea, nella mia run con i monarchici, il partito che ha meno voti a inizio gioco, sono riuscito a diventare prima forza politica dopo tre o quattro convenzioni. Ancora altre due e il diritto di voto era stato cancellato, sebbene anche il gruppo degli Imparziali nel mio partito fosse contro quest’idea. Nel giro di circa tre ore di gioco (e sono magnanimo) non sapevo più cosa proporre, dato che la Francia era sprofondata nel pieno autoritarismo e avevo già fatto approvare tutto quello che mi poteva servire.
E gli altri partiti? Beh, dormivano. I moderati non potevano fermare la mia avanzata militare, dal momento che non si può dichiarare guerra prima che alcuni eventi nella storia si attivino da soli. Tendenze, appunto, che vanno ognuna per conto suo. Questo non è sviluppare uno strategico ideology driven, questo è forzare un sistema da gioco di progressione, con una storia lineare, dentro un genere che, per definizione, è da gioco di emersione, dove la storia prende forma in base alle scelte del giocatore.
Per quanto riguarda i giacobini, invece, erano in guerra con me sin quasi dalle prime battute di gioco. Peccato che non siano mai stati un vero problema, vuoi perché non mi hanno mai attaccato direttamente, vuoi perché, quando li ho attaccati io, l’IA era così stupida da permettermi di vincere facilmente anche in schiacciante inferiorità numerica.

Sia chiaro, non sono mai stato un fine stratega e non penso di aver mai vinto un’intera campagna in un qualsiasi Total War, sebbene ne abbia iniziate tante. Ma in Bonaparte le battaglie sono così facili da permettere anche a un giocatore come me di vincere senza sforzo. L’esercito avversario reagisce sempre nello stesso, ottuso e insensato modo, caricando alla cieca l’unità più vicina. Va da sé che, se si manda avanti il proprio Colossi, qualsiasi partita è vinta prima ancora di iniziarla.
La meccanica del flanking, spiegata e consigliata dal gioco stesso nel tutorial, non viene mai usata dagli avversari, con risultati al limite del comico: la cavalleria, che in questo gioco ha una mobilità enorme ed è stata chiaramente pensata per aggirare il nemico e attaccarlo alle spalle, viene mandata a caricare frontalmente i Colossi, magari impedendo alla fanteria di raggiungere il fronte. Si mettono in fila, aspettando di essere obliterati. Molto gentile da parte loro.
Ma il fatto ancora più divertente è che, nonostante le forze giacobine fossero ormai annientate, la storia continuava a propormi lunghissimi dialoghi di Robespierre e Danton che arruolavano migliaia di ribelli e conquistavano fabbriche di Colossi. Eserciti che spaventavano i miei compagni di partito ma che, nei fatti, non ho mai visto comparire sulla mappa, come se le vicende narrate e il gioco fossero due cose completamente separate.
E non sto citando la meccanica del Terrore, una variabile con tanto di barra di progressione in alto sull’HUD che, quando si alza troppo, dovrebbe causare ribellioni interne ai nostri territori, altro elemento solo descritto nei tutorial e mai accaduto in nessuna delle mie tre run.

Come se non bastasse, dopo, una sorta di boss battle (in cui non si sono nemmeno degnati di dare all’esercito nemico dei Colossi fra le unità), si riceve un messaggio in cui si legge che il resto della storia è ancora in fase di sviluppo. Si può continuare a giocare, ma non ci saranno altri eventi e il gioco diventa una noiosissima operazione in stile “colora la mappa” per conquistare il resto della Francia. Personalmente, ho raggiunto questo momento dopo poco più di cinque ore di gioco, senza aver mai incontrato vere difficoltà, e con un ammontare di bug anche critici che farò il piacere di non elencare.
Bonaparte è un gioco che ha ottime intuizioni, ma che non riesce a tenerle insieme. Inizialmente, credevo che l’obbligo implicito di diffondere il favore del proprio partito militarmente fosse una metafora di come, nonostante le belle parole, un po’ tutti i protagonisti della Rivoluzione avessero cercato di imporre le proprie idee con la forza. In fondo, la scelta di inserire come protagonista un Bonaparte alternativo sembrava andare in questa direzione, richiamando indirettamente a quell’impero autoritario nato dalle ceneri di una Rivoluzione che aveva tutt’altro intento.
Tuttavia, vedendo lo stato di totale incompletezza in cui versa il resto del gioco mi viene da pensare che sia un significato più sintomatico che intenzionale, che gli attribuisco io per dare senso a un maldestro tentativo di legare meccaniche che non riescono mai a sposarsi.
C’è ancora una speranza. Il gioco è uscito in early access e gli sviluppatori stimano che ci resterà sei mesi. Forse, per Natale, lo Studio Imugi ci farà un bel regalo e salverà un gioco che sembrava davvero tanto promettente ma che, per ora, non sa bene cosa vuole essere.