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Metroidbrainia
Si sta diffondendo sempre più il termine metroidbrainia per indicare giochi in cui la progressione non è legata all’acquisizione di armi e abilità, bensì di conoscenza. Ultimamente la popolarità di questa definizione è stata trainata dal successo di Blue Prince, ma ci sono diversi altri titoli in arrivo che declinano lo stesso tipo di formula, come EMUUROM e Nonolith.
Per un game designer lavorare sulla conoscenza pone delle sfide: come presentare al giocatore le conquiste che lo attendono? Un metroidvania come Castlevania: Symphony of the Night poteva mostrare tutti i potenziamenti nel prologo, per poi toglierli all’inizio dell’avventura; ma la conoscenza non è qualcosa che si possa sottrarre al giocatore in un secondo momento. La soluzione, per un metroidbrainia, potrebbe essere una lingua sconosciuta da decifrare, come in Tunic, scrive Devin Stone. (Thinky Games, 4 aprile)
Non tutti i titoli citati hanno quell’affinità con Metroid che un termine come metroidbrania suggerisce; e ben pochi potrebbero essere finiti in pochi minuti, come Myst, se solo di avessero già le conoscenze necessarie per farlo. Come nota Andrew Plotkin, l’unica vera caratteristica del genere—per quanto un po’ soggettiva—è forse che, mentre in un’avventura grafica o in un classico rompicapo risolvere un puzzle è semplice routine, in un metroidbrainia dietro ogni enigma c’è sempre una rivelazione. (Zarf Updates, 15 aprile)
Omori
Flora Merigold dedica una bella analisi a uno degli indie più celebrati degli ultimi tempi, un RPG in stile Undertale con elementi da horror psicologico:
Giocare a Omori è stato un po’ come sentirsi consigliare di provare Hellblade: Senua’s Sacrifice, solo per scoprire che nella testa di Senua, insieme alle voci d’odio, c’è altrettanto spesso un comico da stand-up.
(Epilogue Gaming, 4 aprile)
Moves of the Diamond Hand
Il nuovo gioco di Cosmo D (The Norwood Suite, Betrayal at Club Low) è in uscita, e Ed Smith traccia un profilo dello sviluppatore:
È uno dei pochi autori di videogiochi contemporanei di un certo rilievo che sembra in grado di sfruttare appieno gli strumenti di creazione videoludica: è competente in modellazione, animazione e programmazione in senso tecnico, e ha una visione che riesce a realizzare proprio attraverso gli esoterismi insiti nei tool di sviluppo. La sua estetica è distintiva e ricca, ma anche grezza ed eccentrica. Le sue opere sono insolite. Sono divertenti. C’è giocosità e abbandono, e sebbene sembrino tutti titoli compiuti e coerenti, trasmettono anche la sensazione di essere delle prime bozze. I giochi sono pieni di oggetti, scenari e persino meccanismi che non hanno alcuna funzione ludica e che sono anche marginali rispetto a un qualsiasi significato più ampio. C’è artigianato, ma non preziosismo; c’è uno scopo, ma con un’apertura all’imprevedibilità. Sono giochi che sembrano giochi.
(Bullet Points, 9 aprile)
Gundam
Questo mese è uscita su Prime Video l’impronunciabile serie Mobile Suit Gundam Gquuuuuux, e Tom Aznable ha colto l’occasione per parlare di alcuni videogiochi legati a questo franchise. (Read Only Memo, 13 aprile)
Deus Ex
Pubblicato da Ion Storm nel giugno del 2000, appena un mese dopo quel disastro di Daikatana, Deus Ex era un gioco imbevuto di complottismo e paranoia anni Novanta, scrive Gavin Annand. (Superjump, 14 aprile)
Blue Prince
Due punti di vista opposti su un gioco in cui i puzzle da risolvere sono strettamente connessi con il racconto di una storia. Nicholas O’Brien critica l’abbandono del giocatore al suo destino:
Ci sono momenti in Blue Prince in cui il loop del gioco è evidente, ma il progresso attraverso quel loop sembra intenzionalmente offuscato. Sebbene questo possa avere molto fascino in una storia – nascondere motivazioni e ragioni è un espediente narrativo ampiamente utilizzato – è un po’ meno soddisfacente in un puzzle, vale a dire è ciò che Blue Prince è principalmente. Incontri piccoli enigmi nelle stanze e puzzle più grandi legati alla logica del gioco che sai di non essere “preparato ad affrontare”, e invece di guidarti verso qualcosa per cui sei pronto, il gioco si limita a fare spallucce senza pietà. Parte di questa affettazione deriva dalla sua atmosfera sommessa, ma molto deriva dal suo sistema RNG.
Penso che la game designer e scrittrice Cara Ellison lo spieghi bene su bsky: Credo di voler vedere meno casualità nei giochi ora.
Condivido questo sentimento, e anche se concepisco il gioco come un qualcosa di enigmatico-riflessivo-sconcertante, mi aspetto anche (forse ingiustamente…) che mi fornisca le risorse per sbloccare il suo mistero. E non sto parlando di darmi chiavi, gemme e monete quando ne ho disperatamente bisogno per aprirmi la strada attraverso la villa. Intendo le risorse per raggiungere l’obiettivo desiderato. Se lo scopo è farmi trovare la misteriosa Stanza 46 del mio ricchissimo zio, allora dammi conoscenze e intuizioni su come posso raggiungere questo obiettivo senza sentirmi colpito a sorpresa dal caso ogni giorno.
(Essay Games Blog, 14 aprile)
Don Everhart loda invece la coerenza del mondo di Blue Prince:
Blue Prince è un gioco che ama mostrare quanto è intelligente, anche se deve, come la maggior parte dei giochi, essere risolvibile dai giocatori. L’elemento più coerente è che ci sono motivi nella storia per cui enigmi e indizi sono sparsi per Mt. Holly: vale a dire che l’ex Duca e il suo staff hanno dedicato molto impegno (e una notevole quantità di lavori di costruzione) per creare gli enigmi e gli indizi presenti in tutta la dimora. In altre parole, è coerente con il personaggio che il gioco sia risolvibile da un ragazzino di quattordici anni e che la sua storia sia comprensibile. È stato creato, e con grande cura, per essere risolto da Simon. Ma a volte, anche quando si hanno i mezzi per costruire un vero monumento, i segreti di famiglia devono essere espressi indirettamente. Questo è qualcosa che il Duca e la madre di Simon capivano, ed è qualcosa che lui voleva disperatamente che anche Simon comprendesse.
Ed ecco il cuore del dramma: zio Herbert ha progettato tutto questo come mezzo per custodire la storia per Simon, e anche come modo per assicurarsi che Simon la ricevesse. Mt. Holly custodisce i suoi segreti, ma sono fatti per essere scoperti. Il bersaglio per le freccette non contiene problemi di trigonometria, anche se i problemi successivi richiedono ai giocatori di intuire regole sempre più complesse. I puzzle logici più difficili non dovrebbero bloccare chiunque abbia seguito un solo semestre di logica introduttiva. La teoria dei colori è basilare e le icone sono facilmente comprensibili; la storia è scritta in colori primari e secondari. Non è la profondità di Blue Prince che è difficile da affrontare, ma la sua densità.
(Gamers With Glasses, 22 aprile)
The Lamplighters League
Con The Lamplighters League, un RPG a turni ambientato in una versione alternativa degli anni Trenta e ispirato a Indiana Jones e The Mummy, lo studio Harebrained Schemes mirava a creare una nuova IP di successo, ma il gioco è stato accolto tiepidamente, tanto da portare Paradox, che lo ha pubblicato, a parlare di delusione. Cosa è andato storto? Brian Crecente ricostruisce l’intera storia della creazione di questo titolo insieme agli sviluppatori. (80 Level, 15 aprile)

Pole Position
Pole Position era senz’altro un gioco arcade, ma puntava anche molto sul realismo e su aspetti simulativi, presentando un tracciato reale di Formula 1 come il circuito del Fuji, e un giro di qualificazione preliminare per stabilire l’ordine di partenza in gara. Nel realizzarlo, Namco ha saputo fare tesoro dell’esperienza accumulata con tanti giochi di corse elettromeccanici come Racer, Formula-X e F-1, scrive Marc Normandin. (Retro XP, 16 aprile)
Muse
Per alcuni giorni non si è parlato d’altro che di Quake 2 ricreato da Microsoft con l’intelligenza artificiale, ma come funziona Muse, il modello usato per ottenere quel risultato? Lo spiega Chris Tapsell. (Eurogamer, 16 aprile)
Animal Well
Billy Basso alla Game Developer Conference di San Francisco è sceso nei dettagli tecnici dello sviluppo di Animal Well, e Andrea Maderna ha preso appunti. (Final Round, 17 aprile)
Diablo IV e Darkest Dungeon II
Praticamente tutti i giochi, in una qualche misura, devono trovare un modo per far sentire al giocatore sia di trovarsi di fronte a una sfida, dove bisogna superare ostacoli quasi insormontabili; sia di essere in possesso di poteri di un certo calibro, impensabili nella vita reale. Bilanciare questi due aspetti è particolarmente delicato quando il gioco è un RPG, perciò Alan Bradley ha deciso di approfondire il tema intervistando gli sviluppatori di Blizzard Entertainment e Red Hook Studios. (Ars Technica, 17 aprile)
The Legend of Zelda: Majora’s Mask
Il 27 aprile ha compiuto 25 anni l’unico capitolo di The Legend of Zelda che somiglia a un roguelike. È anche il gioco più cupo e malinconico della serie, scrive Marc Normandin. (Paste, 25 aprile)
Project Zero
Nel primo di tre articoli dedicati a Project Zero, Stefano Caselli si concentra sulla Camera Obscura, la macchina fotografica spiritica al centro del franchise, e sul suo effetto perturbante. (Lo Specchio Scuro, 28 aprile)
Al mese prossimo!
Note
- Inlusio è il termine che indica l’illusione di trovarsi all’interno di un (mondo di) gioco. Sembra un nome particolarmente indicato, no? ↩︎